Abbiamo avuto il piacere di una lunga chiacchierata intorno ai molteplici problemi tra 'sistema-giustizia' e mondo dell'informazione con il direttore responsabile de "il Giornale", Maurizio Belpietro.
Ecco il suo parere in difesa della libertà di stampa nel nostro Paese.

Direttore, recentemente "il Giornale" ha assunto una posizione fortemente polemica nei confronti di alcuni provvedimenti giudiziari che sanzionavano pecuniariamente articoli ritenuti offensivi: ci può spiegare il senso e la portata di questa battaglia condotta dal suo quotidiano?
"Il senso è molto chiaro, come ho già scritto in un fondo: io sto osservando che c'è, da parte di alcuni magistrati, un ricorso all'uso della querela che rischia di impedire il diritto di cronaca e, soprattutto, il diritto di critica. Quindi, dato che poi a decidere intorno a queste sentenze sono spesso i medesimi magistrati, talvolta, in alcuni casi di cause civili, magistrati della stessa giurisdizione e non di una giurisdizione diversa, è evidente che spesso si viene condannati a cifre molto alte. Tra l'altro - e questo non lo dico io ma una ricerca condotta dall'illustre avvocato Vincenzo Zeno Zencovich -, i magistrati sono in assoluto le persone che ricevono, da queste situazioni, un indennizzo superiore a qualunque altra categoria".

E infatti le volevo proprio chiedere cosa pensa dello studio condotto dall'avv. Zeno Zencovich, di recente pubblicato da "il Foglio", che riporta appunto dati a prima vista sconcertanti: tra il 1988 ed il 1994 le offese a pm e giudici sono state indennizzate con importi doppi rispetto a quelli liquidati in favore di liberi professionisti…
"Lo studio dell'avvocato Vincenzo Zeno Zencovich lo abbiamo pubblicato noi: "il Foglio" lo ha solo ripreso qualche tempo fa…".

Va bene, tuttavia la domanda rimane la stessa: la legge è uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale che per altri?
"Sì. Ma soprattutto io mi chiedo, per la verità, se ci sia un adeguato risarcimento per quelle persone che finiscono in carcere ingiustamente, così come per quelle persone, soprattutto con "la toga", che si ritengono calunniate. Ho infatti notato, ad esempio, che un poliziotto arrestato e poi costretto agli arresti domiciliari per dieci mesi, si è visto la carriera stroncata per poi avere come risarcimento solamente alcune decine di milioni. Ora, un magistrato che invece viene in qualche modo criticato e che in base a ciò si rivolge a un Tribunale, non si capisce bene perché riesca ad ottenere non una quarantina di milioni, ma spesso svariate centinaia. Allora mi domando: vale di più un articolo, o anche una vera e propria offesa pubblicata su un giornale, o la privazione ingiusta della libertà? In questo Paese, a me pare valga di meno la libertà, rispetto a un'offesa e, questa, è una vera e propria aberrazione della giustizia italiana. Non è infatti pensabile che l'esser privati della libertà possa essere messo sullo stesso piano, o addirittura su un piano inferiore, rispetto alla propria tranquillità e alla propria onorabilità".

Qualche tempo fa, Arturo Diaconale, direttore de "L'Opinione della Libertà" e Davide Giacalone, in seguito ad alcune condanne tanto onerose quanto incomprensibili, scrissero un pamphlet significativamente intitolato: "Attacco alla libertà". In questa appassionata pubblicazione, si parlava di una sorta di tassa sulla libertà di espressione, mediante la quale i potenti rifiutano una normale dialettica democratica spostando il confronto sul terreno giudiziario. Come si può contrastare questo fenomeno?
"Solo con una legge molto semplice che spieghi che politici e magistrati, i quali comunque svolgono un'attività politica, poiché intervengono su leggi, fatti, e provvedimenti scrivendo anch'essi articoli sui giornali, non possano poi, se criticati, dire di non far parte del medesimo gioco politico. Siccome partecipano anch'essi al normale sviluppo della dialettica democratica, dovrebbero rispettare le regole del gioco politico accettando la libertà di critica. Allorquando qualcuno si ritenga diffamato, ha il diritto di ricorrere all'esercizio della rettifica, la quale, se pubblicata nei precisi termini previsti e prefissati, fa estinguere la possibilità di rivolgersi a un Tribunale per ottenere dei soldi. In realtà, allo stato attuale delle cose, l'obiettivo di molti, alla fine, è infatti solo questo: spaventare i giornali per non far pubblicare loro più nulla, impedendo, da una parte, l'esercizio di un diritto costituzionale come quello della libertà di stampa e incassando, dall'altra, dei quattrini. Un'inchiesta interessante che si dovrebbe fare, in effetti, sarebbe proprio quella sui guadagni reali e sul denaro incassato, in tali vicende, dai magistrati, spesso tramite accordi extragiudiziari. E' un'indagine che non è mai stata fatta, mentre sarebbe molto interessante riuscire a sapere, finalmente, quanto viene guadagnato da certi magistrati in tali vicende. Anche perché, essendo considerati degli indennizi, questi ricavi non vengono considerati fiscalmente dichiarabili".

Non è forse maturo il tempo per una normativa che, fermo restando il libero apprezzameneto del giudice, preveda comunque un minimo e un massimo per sanzioni e provvisionali a carico dell'editoria, magari legandole anche alla tiratura e alla diffuzione del giornale?
"Sì, i tempi sono sicuramente maturi per riflettere anche su queste cose, decisamente anomale. Ma, ripeto, è anche maturo il tempo per intervenire davvero sulla rettifica. Siccome molti, soprattutto tra i magistrati, non mandano rettifiche, non scrivono nulla, essi non fanno nemmeno cause penali e si rivolgono direttamente alla magistratura civile per ottenere condanne pecuniarie e, dunque, vantaggi di natura economica. Ora, io ricordo che l'allora presidente della Camera, l'On. Luciano Violante, fece qualche anno fa una proposta: "Stabiliamo che, chi ha chiesto la pubblicazione di una rettifica, quest'ultima, una volta pubblicata, estingua la possibilità di procedere da un punto di vista penale o civile". Oggi mi pare, però, che Violante, quella stessa proposta, si stia guardando bene dal riproporla e dal sostenerla, poiché provvede spesso a presentare delle querele".

Forse è solo finita nascosta in qualche cassetto…
"Beh…io credo che, da quel cassetto, quella proposta dovrebbe riuscire…".

La responsabilità oggettiva di un direttore per il contenuto di un giornale è, come tutti sanno, un retaggio fascista: venne infatti istituita proprio per tenere sotto controllo la stampa. Non crede che un governo espressione di una maggioranza definita "Casa delle Libertà" dovrebbe attivarsi per abolirla?
"Assolutamente sì. Non voglio fare casi personali, ma ricordo che quando dirigevo "il Tempo", a Roma, la mia testata prevedeva tredici edizioni diverse, con una media di 90 pagine pubblicate quotidianamente, oltretutto di grande formato. Quasi tutte queste tredici edizioni locali non giungevano neppure in redazione, poiché venivano confezionate nelle redazioni periferiche. Era evidente che era impossibile per un direttore riuscire a controllare tutto. Ciononostante, io ancora oggi sono inseguito da querele per articoli, pubblicati sulle edizioni locali, di cui io non so assolutamente nulla. Cosa posso dire, andando di fronte a un magistrato per discolparmi, allorquando mi chiede le ragioni di un determinato scritto? Non posso dir nulla, anche perché, il più delle volte, non solo non sono a conoscenza degli argomenti trattati, ma nemmeno dell'articolista che lo ha redatto, dato che, soprattutto per i quotidiani, le collaboratori esterne sono centinaia e, in qualche caso, addirittura migliaia! Allora mi rendo conto che, tale situazione, è solo un sistema per tenere 'sotto schiaffo' un direttore nel tentativo di condizionarlo…".

Torniamo ai problemi più generali nei rapporti tra politica e giustizia: perché i magistrati vogliono scioperare? Cosa vogliono veramente?
“Onestamente è una cosa che proprio non sono riuscito a capire. Non riesco infatti a vedere cosa vogliano, in realtà. Credo semplicemente che intendano difendere determinati privilegi, sia in termini di ‘scatti’ di carriera, sia per quel che riguarda la maturazione dei loro stipendi. Vede, in Italia la magistratura, in realtà, non è un ordine professionale, né un potere dello Stato, bensì una vera e propria corporazione, sempre pronta a difendere, attraverso un'associazione come l’Anm, la propria condizione di status. Io non credo ci sia molto altro, dietro questa autodifesa ad oltranza. Tenga presente che, storicamente, era già capitato che il Csm mutasse il proprio sistema di elezione interna, tanto per fare un esempio, oppure la propria composizione numerica e altri aspetti del genere. Nessuno aveva mai gridato allo scandalo”.

Ma libertà e giustizia sono proprio così difficilmente coniugabili in Italia?
“Più che altro, se ci si ritrova in una situazione nella quale una parte della magistratura non riesce a concepire che il compito politico di una normale democrazia occidentale, a livello legislativo, è appunto quello di legiferare, di porre mano a modifiche che vadano verso un aggiornamento - se per prudenza non possiamo parlare di miglioramento - di norme e leggi, di consuetudini e prassi che rendano più efficace ed efficiente un ordinamento giuridico, io non credo si possa sperare più di tanto in una coniugazione felice di queste due antitesi, se non sporadicamente. La giustizia in Italia non funziona e questo, già di per sé, rende astrattamente idealistica la sintesi da lei auspicata…”.

Il vero dibattito verte su questo, allora, non sulle intenzioni punitive di qualcuno nei confronti dei magistrati…
“Ma quali intenzioni punitive!?! Il problema oggetto dell’analisi è quello di un processo giusto, che non si allunghi angosciosamente negli anni, quello di una carcerazione preventiva di cui è stato spesso fatto un uso smodato o quanto meno poco ortodosso: che giustizia è quella che lascia che la maggior parte dei reati cada in prescrizione? Che non garantisce che i colpevoli di un delitto vengano puniti? Certamente questo è il problema concreto. Dopo tutto quello che abbiamo visto accadere, dopo le stesse dichiarazioni del procuratore Cordova sui recenti fatti di Napoli e della sua procura, vogliamo ancora perdere tempo a far finta di non capire di cosa stiamo parlando? In questa nostra Repubblica, c’è un sistema giudiziario che è stato deformato già dalle riforme fatte negli anni ’70, dove una parte della magistratura si è ribellata ed ha voluto a tutti i costi arrivare ad una deformazione generale del sistema, in una situazione già a quei tempi assolutamente scabrosa, dove capitava di rinvenire decine di migliaia di fascicoli totalmente abbandonati, intorno ai quali nessuno ne sapeva più nulla…”.

Quindi ha ragione chi dice che sarebbe necessario ritornare ad una situazione di collegialità delle procure inquirenti…
“Ma non è nemmeno questo il fulcro del problema! La vera questione è quella di una procura inquirente che sia sullo stesso piano, nei procedimenti, dell’avvocato difensore, di arrivare veramente, insomma, ad un 'processo giusto'. Se non si riesce a garantire almeno questo, a livello processuale, se non si giungerà concretamente a tale tipo di impianto, difficilmente la situazione muterà in senso positivo. Un tempo, come le ho già accennato, le procure avevano una struttura piramidale e gerarchica dove c’era chi garantiva un minimo di controllo sull’operato e sullo svolgimento delle indagini, ma le ribellioni di una parte della magistratura, negli sciagurati decenni ’70 e ’80, ha finito col deformare la situazione, sino ad arrivare agli eccessi attuali”.

Si parla poco degli avvocati: molti dicono che, qui da noi, si siano specializzati nella perdita di tempo…
“Perché l’inefficienza del sistema lo permette, perché non viene data loro la maniera di svolgere in maniera attiva il proprio ruolo, perché continua a non mutare la mentalità di fondo del ‘sistema-giustizia’, perché c’è chi giudica negativamente ogni possibilità di ridiscutere, appunto, ruoli e figure giuridiche…”.

Ma non possiamo almeno essere un po’ ottimisti per una ripresa del dialogo tra giudici e politici?
“Credo proprio di no. O, per lo meno, sono pessimista, se proprio le dovessi dire, poiché, col passare degli anni, tante cose mi hanno proprio dato l’impressione di continuare a peggiorare, in questo Paese. Io non credo di essere una persona che rimpianga spesso il passato, che si rintani in considerazioni del tipo: "Si stava meglio quando si stava peggio". Tuttavia, in Italia ho spesso un’impressione degenerativa e non migliorativa dei mutamenti: la stessa riforma della sanità, quella della giustizia, quella della pubblica amministrazione. Le darò forse un'impressione di connaturato scetticismo, ma a me pare che tutto o quasi vada sempre peggio. Comunque, per concludere sul tema, io le sottolineo che, fino a quando una parte della magistratura non sarà messa nelle condizioni di accertare le proprie responsabilità, sin quando non si potrà porre certi settori estremistici di quest'ultima di fronte alle conseguenze dei propri errori, ad esempio quello, gravissimo, di aver voluto coinvolgere tutta la magistratura nel suo complesso in vere e proprie guerre ideologiche, io ritengo che potremo fare solo qualche riflessione e niente di più”.

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