Vittorio Craxi

Le grandi strade piene di macchine e di motorini di Managua sono circondate da immensi cartelloni pubblicitari. Niente a che vedere con i nostri ‘6 per 3’: molto più grandi e molto più simili ai grandi poster che nelle capitali di Paesi del sud del mondo celebrano i ‘presidenti - conducator’. Si celebra la giornata dei poveri di tutto il pianeta. Ed é proprio Daniel Ortega il testimonial di questa festa, in maniche di camicia e fedele all’immagine mutuata da decenni di lotte al fianco dei campesinos contro i rentiers dell’oppressione ‘somozista’. L’uomo con la faccia da indio saluta il viavai del traffico della capitale con l’impeto di chi pensa e vuole che la ‘Rivoluzione’ sia continua e permanente. Da poco più di un anno è alla guida di un Paese in cui il tasso di analfabetismo e di povertà non é cresciuto, ma non si é neanche arrestato. Il Nicaragua non é privo di risorse, ma si ritrova alle prese con il drammatico problema dell’approvvigionamento dei beni necessari a favorire la ripresa della produzione economica e degli investimenti, bruscamente interrottisi con il ritorno del ‘sandinista’ al potere. L’energia nella capitale é razionata, in diverse parti del Paese non arriva proprio. L’uomo non é ‘solo al comando’, poiché regge un governo ‘alla Sarkozy’ a parti rovesciate, con settori della destra che lo sorreggono. Non ha mai perso il controllo dei gangli vitali dello Stato: l’esercito e la magistratura. Dispone di un ampio e giustificato controllo sulle azioni minesteriali e, da buon allenatore, cambia talvolta i giocatori della propria squadra misurandone costantemente il tasso di efficienza e di fedeltà. Il Nicaragua é un altro di quei grattacapi che non fa dormire la notte il ‘desk’ sudamericano dell’Amministrazione Bush. E la tentazione di rovesciarne gli esiti politici mette in servizio permanente ed effettivo l’enorme Ambasciata americana ed il suo stesso Ambasciatore, il quale entra sovente, senza remora alcuna, nel dibattito locale come fosse il leader di un partito dell’opposizione, come una presenza costante, scomoda, in una battaglia ‘del gatto contro il topo’ che va avanti da oltre vent'anni, nonostante Daniel Ortega ed i suoi abbiano, nel tempo, abbandonato senza indugi tutte le retoriche del marxismo condito con la teologia della liberazione. Dopo aver discusso a lungo col ministro degli Esteri Dos Santos, un ‘tecnico’ prestato alla politica ben attento a tenere assieme i difficili equilibri geopolitici con il vicino ‘Impero’, vengo ricevuto dal Comandante Ortega nel vasto perimetro che costituisce il quartier generale del partito sandinista, dove il capo del partito sandinista risiede suscitando un certo imbarazzo in alcuni ambienti modernizzatori del partito, che mal digeriscono la confusione di ruoli e funzioni. Il posto, tra l’altro, é anche bello: una specie di ‘Comune’ fra ampi ed immensi alberi del tropico, con casolari disseminati nel giardino in un trionfo di colori sgargianti. Lì riceve campesinos e capi di Stato. Restituisco una visita che Daniel fece a mio padre nel ‘ridotto tunisino’ di ritorno da uno dei suoi incontri con Gheddafi. E, per questo, mi sento ad un colloquio con una specie di ‘vecchio amico’, un epigono dei capi rivoluzionari sudamericani giusto un po’ invecchiato, carismatico come lo sono tutti i capi partito che hanno sfidato gli ‘yanqui’ senza confondersi con la triste parabola del comunismo sovietico. “Fate molto per noi”, esordisce Daniel, “ma non abbastanza: so di avere tanti amici in Italia, un tempo Bettino, ora D'Alema. Ma mi aspetto molto da voi, perché i problemi aumentano: incalza la globalizzazione, che necessita una forte modernizzazione del Paese”. Il Comandante aspetta Lula, ha pronto un ‘cahier des doleances’ che ‘girerà’ anche a me: mezzi sofisticati per contrastare il mercato e i mercanti della droga che scorazzano nel Caribe come pirati salgariani. Entro a ‘gamba tesa’: “Daniel, so che hai visto gli iraniani che ti aiuteranno a sviluppare la rete idrica ed elettrica. Attento, però: da una parte, la cosa indispettirà l’amica di Dos Santos, Condy, dall’altra, la rete di penetrazione del mondo islamico in Caribe si sta agganciando al bisogno di religiosità che sta moltiplicando a dismisura ‘sette’ d’ogni ordine e grado. Ciò lascia spazio persino alla predicazione di Allah nei Carabi, specie quando é sorretta da ingenti finanziamenti”. Il mio ragionamento composto non fa fare una piega al mio interlocutore, che ammette l’esistenza di un problema più generale che resta sullo sfondo. Tuttavia, il suo isolamento politico può essere spezzato solo da un robusto rilancio dell'interesse spagnolo e italiano verso i Paesi ‘latini’, dove sono emigrati i nostri bisnonni ed in cui contiamo su un credito politico che prescinde dalle nostre intrinseche debolezze. Ortega si informa della sinistra italiana e ne approfitto per declinare un po’ di ortodossia socialdemocratica a dispetto del nascente partito democratico “all'americana”, certo di compiacere il mio interlocutore. Mi sono ormai congelato all’aria condizionata, quando ci raggiunge nell’ampio salone la ‘companera Ortega’, sua moglie, che pare essere di grande influenza nelle scelte del Comandante. Sono baci e abbracci. E sono felice di non essere solo nel mio viaggio, visto che le mogli dei politici vanno per la maggiore, specie quando allargano e sviluppano aree del consenso e le relazioni dei mariti. Sono sull’uscio, poco prima di salire sulla vettura che mi riporterà all’ambasciata, quando una reminiscenza giovanile sta per farmi sussurrare un: “Hasta siempre, Comandante”. E mentre mi volto per salutare di nuovo i miei ospiti, mi accorgo che Daniel sta ‘attaccando bottone’ con una giovane signora italiana residente in Nicaragua che mi ha fatto da traduttrice. Da lontano, Ortega mi dice: “La prossima volta che vieni, andiamo a fare un giro in macchina per il Paese”! Mi rituffo nel viavai di Managua delle sette di sera. I cartelloni con la sua grande foto mi salutano da lontano. Il saluto ‘rivoluzionario’ glielo rivolgerò la prossima volta. Se ci sarà una prossima volta, per l’amico “giunto da molto lontano”.




Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri
(articolo tratto dalla prima pagina del quotidiano “Il Riformista” del 22 agosto 2007)
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