Lelio LagorioAlcune questioni sono pacifiche. Quali? Ad esempio: un sistema elettorale “perfetto”, buono per tutti i tempi e tutte le situazioni, non esiste. La legge elettorale è solo uno “strumento” per raggiungere uno scopo politico. E’ dunque sugli scopi politici della legge elettorale che si può discutere ed è giusto chiedersi se la legge prescelta li realizza oppure no. Esempi di scopi positivi: assicurare governabilità, assicurare stabilità delle istituzioni, rendere il Parlamento il più rappresentativo possibile delle forze politiche che si muovono nel Paese, in modo che di possa dire che “Paese legale” e “Paese reale” si assomigliano. Tutto questo è abbastanza pacifico. Guardiamo invece un’altra questione. Che cosa ci dice la storia politica italiana, che cosa ci suggerisce e ci insegna?

Gli insegnamenti della storia italiana

Sono 150 anni che stiamo insieme e in questo secolo e mezzo di vita nazionale unitaria abbiamo visto che il Paese ha convissuto – sia pure attraverso leggi diverse – con un sistema politico costituito così: esistenza di un grande centro – una forza centrale di equilibrio, moderazione, mediazione – e una varietà mutevole di ali e mezze ali che hanno via via dato il sale al pane della politica, condizionato il centro di equilibrio, qualificato la politica della forza centrale. Nemmeno il ventennio fascista, a pensarci bene, annullò/alterò tale quadro. Mussolini a suo modo (parlo del ‘ventennio’, non della Repubblica Sociale) governava con un “piglio centrista”, si muoveva cioè fra le tante anime e i tanti interessi del fascismo (di destra e di sinistra, conservatori e movimentisti), si appoggiava ora agli uni ora agli altri, mediava. La storia politica italiana è una storia di prevalente di centrismo, di mediazione, di equilibrio, di convergenze, non di rotture pianificate e permanenti. Tale sistema ha avuto i suoi meriti e i suoi demeriti; ma i demeriti non sono preponderanti, basta valutare quel che abbiamo ottenuto. C’è stata una ascesa complessiva, evidente e forte della Nazione, il radicamento della democrazia, l’ingresso e la partecipazione delle classi subalterne nelle centrali di decisione dello Stato, una crescita non dovuta solo alla evoluzione dei tempi, alla scienza, alla tecnologia, alla modernizzazione che scavalca frontiere e ideologie, dovuta anche all’opera di questa nostra politica. Così ne è derivato un dato di fondo: il costume italiano si è adattato a questa politica, si è plasmato su questa politica, questa politica è entrata nel costume, ha fatto costume, essenza, tradizione, è divenuta esigenza e strumento di buon governo e così è stata percepita e accettata dalla gente.

Un sistema diventato costume. Durante la prima Repubblica ha reso possibili scelte drammatiche e grandi cambiamenti

E non è vero che questo lungo sistema ha impedito la grandi scelte, le scelte nette, la formazione di coalizioni contrapposte. Coalizioni fra loro antagoniste ci sono state, gli elettori le hanno viste in azione, le hanno giudicate, hanno potuto fare anche scelte drammatiche e di portata storica. Cos’è stato, se no, il 18 aprile 1948? Ma quel sistema non era rigido, assurdamente rigido, non ingessava la situazione, non faceva prigioniera la politica, non la sequestrava, non gelava in eterno i rapporti, le relazioni, i fronti, aveva un interno dinamismo che consentiva ai protagonisti della lotta politica – se volevano – di guardare, anche nel pieno di una battaglia, al di là della lotta di quel momento, al di là degli egoismi in atto. Il cambio politicamente più significativo della vita repubblicana si è avuto con quel sistema, grazie a quel sistema, perché aveva una sua interna flessibilità. Mi riferisco al passaggio dalle coalizioni di centro (figlie del 18 aprile 1948) alle coalizioni di centro-sinistra degli anni ‘60, cambio senza traumi, senza urla, cambio significativo perché modificò non solo le relazioni parlamentari ma gli indirizzi politici di fondo del Paese, la cultura, il respiro, il costume della Nazione. Fu la fatica, anzi il capolavoro di uomini lungimiranti e coraggiosi – Fanfani, Moro, Nenni, Saragat, La Malfa - uomini che provenivano da schieramenti avversi, eppure seppero aprire nuove strade; e fu possibile perché il sistema equilibratore allora vigente lo consentiva.

La legge maggioritaria fa sparire il centro equilibratore

In una democrazia moderna, in una situazione democratica pluripartitica, il centro equilibratore esiste e funziona se la legge elettorale non lo condanna aprioristicamente a sparire. Se invece la legge elettorale sospinge le forze politiche a preventive coalizioni fra gruppi eterogenei che si aggregano col fine prevalente o addirittura esclusivo di conquistare qualche seggio in più, senza curarsi che le coalizioni abbiano programmi politici coerenti e condivisi, la politica del Parlamento si ingessa, il centro è soffocato dalle minoranze della estrema, il Paese perde quegli strumenti di flessibilità e di manovra che sono indispensabili per una funzione equilibratrice della politica. Da una decina d’anni abbiamo imboccato proprio questa seconda strada. Tallonati da vari accadimenti, emozioni, incidenti, tormenti abbiamo ripudiato il sistema equilibratore e abbiamo scelto di passare ad un sistema politico cosiddetto “bipolare”, in altre parole ad un sistema “senza centro”, senza forza di moderazione e mediazione.

Motivazioni e risultati del sistema bipolare

Tutti conosciamo le motivazioni, le giustificazioni di questa scelta:
- dare più forza, più rapidità, più durata ai governi;
- ridurre il numero dei partiti;
- assicurare omogeneità alle coalizioni;
- ridurre le litigiosità interne;
- avvicinare gli eletti agli elettori, costringendoli a farsi scegliere non dalle segreterie dei partiti ma in un piccolo collegio, a starci, a contatto di gomito con la gente, scelti e votati volentieri dalla gente del collegio perché legati al territorio, più conosciuti, controllati e controllabili.
Ottime intenzioni, certo, che però hanno lastricato la vita politica di questi anni, una vita infernale, che è stata tutt’altra cosa. Non faccio commenti, dico soltanto: è stata tutt’altra cosa. Conviene riesaminare le scelte di dieci anni fa. Dopo un decennio di prove è sotto gli occhi di tutti che molte cose non vanno, che molte cose auspicate dieci anni fa non si sono realizzate. E perché? In sostanza: perché la nostra storia politica, il nostro costume non è bipolare, e costringere in un abito bipolare il Paese che per tradizione e convinzione è multiforme e accetta che ci sia una forza centrale di equilibrio/moderazione/mediazione come misura del confronto fra le diverse forze in campo, è una forzatura, una pretesa che dopo dieci anni di prove non convincenti conviene riesaminare.

Le proposte della “Associazione per la proporzionale”

In base a questo ragionamento un centinaio di parlamentari, ex-parlamentari, politologi e giuristi si sono riuniti in una associazione ad hoc, la “ Associazione per la proprozionakle ”, come quella che agli inizi del Novecento venne promossa da Turati e da Meda. Il nostro presidente è il senatore Gino Scevarolli per tanti anni autorevole Vice-Presidente Vicario del Senato. Non proponiamo il “ritorno (puro e semplice) alla proporzionale che c’era”, no, proponiamo una “nuova proporzionale” con alcuni cardini:
- preservare gli obiettivi della governabilità e stabilità;
- dare però al sistema capacità di movimento, di aggregazione, di equilibrio riconoscendo alla forza centrale il ruolo che deve avere;
- dare voce a forze culturalmente e politicamente importanti che oggi sono escluse o si auto-escludono da qualsiasi forma di rappresentanza solamente perché non si riconoscono nelle coalizioni eterogenee e forzose a cui è condannata la politica italiana.
Seguiamo con interesse i lavori parlamentari in corso sulle riforme costituzionali, apprezziamo diverse proposte, ci prefiggiamo di dare una mano. Abbiamo predisposto un disegno di legge e relativo documento illustrativo. E’ stato curato da due colleghi che se ne intendono, il senatore Arduino Agnelli e il senatore Giorgio Casali che hanno lavorato anche col Ministro Mazzella.

Pilastri della proposta:
- proporzionale con sbarramento;
- facoltà di alleanze purché non siano soltanto escamotage elettorali;
- premio di maggioranza con la redistribuzione dei voti delle liste che non hanno raggiunto il quorum.
Mettiamo tutto a disposizione del Parlamento, di quei deputati o senatori che volessero far propria in tutto o in parte la nostra iniziativa. E’ una offerta cordiale e rispettosa, avanzata soltanto ad adiuvandum. Pensiamo che possa essere utile anche una legge di iniziativa popolare per sollevare il problema in mezzo alla gente e sensibilizzare il Paese ai temi della riforma. Se ci saranno convergenze – convergenze necessarie, altrimenti l’iniziativa popolare non è possibile – ci mobiliteremo come possiamo per promuovere la raccolta delle 50 mila firme necessarie a chiamare il Paese a pronunciarsi.

L’Italia oggi è una Paese senza concordia

Una morale, come conclusione. L’Italia oggi è un Paese senza concordia, senza quel minimo di “sentire comune” che è un bene essenziale. Non c’è dialettica fra opinioni opposte. C’è uno scontro generalizzato e gridato su tutto, anche su ogni minimo dettaglio, quindi su niente, un corpo a corpo continuo e inconcludente che sovrasta ogni cosa. Il maggioritario – quello che abbiamo da dieci anni – spinge al bipolarismo un Paese che non lo è. Questo sistema favorisce gli errori che denunciamo. E dunque, lavorare per la riforma del sistema elettorale vigente è un modo per indicare una via di uscita alle nostre difficoltà.


Articolo tratto dal sito www.pansalibero.it
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