Stefano de LucaHo letto con interesse su “il Riformista” l’articolo di Giorgio La Malfa dal titolo: “Per un’agenda liberale serve un partito liberale”. Dico subito che concordo interamente con La Malfa quando afferma che, di fronte alla prospettiva che in Italia si costituiscano un grande partito nel centrodestra collegato al partito popolare europeo ed un altro, nel centro-sinistra collegato al partito socialista europeo, debba sorgere, al centro, un terzo partito, collegato al partito liberale europeo. Per approfondire il ragionamento e soprattutto per verificare se la prospettiva sia o meno realista, mi sembrano utili alcune osservazioni. Innanzitutto, vi è una, anche minoritaria, ma comunque significativa opinione liberale nel nostro Paese, dove la tradizione liberale è sempre stata minoritaria? Basti riflettere a quanto rapidamente, dopo l’avvento del suffragio universale, l’Italia si sia consegnata all’autoritarismo fascista, e, dopo la guerra, ai due partiti-chiesa, quello comunista e quello cattolico, mentre le componenti liberali sono rimaste divise e minoritarie.
La informazione politica di massa, l’orgia del ‘nuovismo’, il pragmatismo vocato soltanto al potere, nell’ultimo quindicennio, hanno fatto il resto, fino a far sparire importanti tradizioni politico-culturali o a ridurle a percentuali da prefisso telefonico internazionale. E’ solo colpa di coloro, compreso chi scrive, che gelosi della propria specifica tradizione, attratti dalle lusinghe personali o dall’orgogliosa voglia di aventino, non sono stati capaci di dar vita ad un soggetto liberale? Senza sottovalutare tali responsabilità, mi pare vi siano anche altre ragioni.
La eccessiva e, a volte, volutamente distorta informazione politica ha fatto ritenere che posizioni conservatrici, popolari o persino ‘peroniste’ nell’immaginario collettivo, fossero liberali. Con la conseguenza che le politiche realizzate da tali partiti hanno finito per scontentare e deludere chi invece liberale lo era effettivamente. Ricordo un episodio avvenuto negli anni settanta. Il ruvido Giovanni Malagodi, alla guida di una delegazione dell’Internazionale Liberale, di cui era presidente, ricevuto dall’allora sindaco di Parigi, Chirac, di fronte ai reiterati richiami “alla tradizione comune” di quest’ultimo, lo interruppe dicendogli: “Veramente noi siamo liberali, lei signor sindaco, è un conservatore”. Ovviamente seguì il gelo. Ma questa era una categoria di uomini intransigenti, gelosi della propria specificità, che oggi mi pare scomparsa. Abbiamo qualche tempo fa ricostituito il partito liberale italiano più con l’intento di preservare un patrimonio politico, storico, culturale e morale che con quello, poco realistico, di competere con le opulenti macchine da guerra elettorali dei partiti della seconda Repubblica. Tuttavia questo ci consente di affermare, magari inascoltati, che troppi falsi liberali si aggirano, a destra come a sinistra, nel panorama politico italiano. Ma che fare per dare vita, come suggerisce La Malfa ed io concordo, ad una costituente o ad una federazione che riunisca le varie famiglie della tradizione liberale (da quella storica del Pli, ai repubblicani, agli azionisti, ad una parte dei radicali ed alla componente liberal-cristiana) ed i tanti liberi pensatori, liberali per istinto o per cultura senza appartenenza? Innanzitutto, prendere al più presto un’iniziativa che metta tutti insieme. In secondo luogo, avere il coraggio di rinunciare a privilegiare la logica di coalizione rispetto a quella della identità, correndone tutti i rischi conseguenti. Il tempo a disposizione non è molto, perché se la situazione politica dovesse precipitare sotto l’incalzare delle contraddizioni profonde e, alla lunga, insostenibili dell’attuale maggioranza di governo, la congiuntura economica molto negativa finirebbe col legittimare la “Grosse Koalition”. Una simile soluzione, se in Germania vede il difficile compromesso tra forze politiche effettivamente contrapposte e, quindi, è giustificata solo dall’emergenza (tuttavia i liberali sono comunque all’opposizione), in Italia costituirebbe finalmente l’incontro storico tra cattolici e postcomunisti, realizzando la sintesi ‘dossettiana’ e ‘berlingueriana’. Sarebbe finalmente chiaro come e quanto l’attuale centro-destra somiglia al centro-sinistra e come, nel potere, troverebbero una sintesi di gran lunga più facile di quella precaria che, oggi, tiene insieme sinistra moderata e sinistra radicale e che, ieri, ha fatto convivere destra moderata con An e Lega Nord. Un partito o una federazione dei liberali avrebbe, come primo dovere, quello di contrastare tale incontro, offrendo di allearsi (come fanno in tutta Europa i partiti liberali) in relazione alla qualità e quantità di istanze liberali contenute nel programma. Forse, dopo una verifica, dovremo prendere atto che per un programma così ambizioso le forze saranno esigue, ma abbiamo il dovere di provarci.


Segretario Nazionale del Partito Liberale Italiano
Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 22 giugno 2006
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