Negli ultimi tempi “L’opinione”, forse l’unica voce autenticamente liberale presente nel nostro panorama editoriale, ha ospitato un vivace dibattito (a cui non ho fatto mancare il mio modesto contributo) sulla presenza delle forze di democrazia laica nella vita politica italiana. Una discussione appassionata e approfondita che, ferme restando talune immanenti opportunità elettorali (e intendo far riferimento alla possibilità che personalità del mondo laico, liberale, repubblicano e socialista riformista partecipino, nelle forme ritenute più opportune, alle prossime consultazioni amministrative), ritengo necessiti di un ulteriore salto di qualità, passando dalla semplice attualità politico-istituzionale ad una riflessione sulla conoscenza e la diffusione della cultura liberal-democratica nel nostro Paese ed all’incidenza che essa ha nelle scelte d’indirizzo politico della cosa pubblica. Credo, infatti, che sebbene ormai quasi tutti i partiti, tranne la sinistra radicale e l’estrema destra nazional-popolare, si dichiarino “liberali”, di questo nobile termine venga fatto un uso distorto ed improprio, non solo per opportunità ma, talora per autentica “ignoranza” (nel significato etimologico del termine).
A tal proposito mi corre l’obbligo di evidenziare come lo stesso “liberalesimo” italiano sia stato, fin dall’immediato dopoguerra, caratterizzato da una forte componente di idealismo crociano che ha contraddistinto per molto (troppo?) tempo i liberali italiani da quelli degli altri Paesi continentali europei, per non parlare poi dell’esperienza anglosassone. Solo per ricordare, in una sintesi estrema, i termini della questione, rammento la polemica sul rapporto tra “liberalesimo” e “liberismo” che vide contrapposti Benedetto Croce e Luigi Einaudi. E questo senza voler chiamare in causa le correnti “libertarie” pur sempre presenti, sebbene minoritarie e penalizzate dall’egemonia culturale, in senso gramsciano, “catto-comunista”, nella cultura politica laico-democratica italiana (cioè quella del Partito d’Azione, del PLI, del PRI e del Partito Radicale). Devo purtroppo rilevare, come, ancora oggi (e, forse, più di ieri) la cultura liberale non abbia adeguati strumenti di diffusione. Negli anni immediatamente successivi alla caduta del fascismo ed alla rinascita della democrazia nel nostro Paese, la radicalizzazione della lotta politica, rafforzata dal sopraggiungere, in ambito internazionale, della “guerra fredda”, le forze di democrazia laica, le quali, pure, diedero un importante contributo all’elaborazione della Carta Costituzionale, videro drasticamente ridursi il proprio campo d’influenza, strette tra il personalismo cattolico (nella DC, infatti, a dispetto di quanto può sembrare ad una lettura superficiale, non prevalse il cattolicesimo liberale d’ispirazione sturziana cui si rifaceva De Gasperi, bensì l’impostazione dossettiana, tant’è che, allo statista trentino, successero i Fanfani e i Moro, col supporto dall’allora cardinal Montini) e l’utopia collettivista marxiana (ulteriormente rafforzata dalla mitologia resistenziale). Ideologie diffuse da quelle imponenti macchine di propaganda che erano e, in gran parte sono ancora oggi, per il primo la Chiesa cattolica, con il proprio insieme di parrocchie e strutture collegate (AC, ACLI, scuole cattoliche,etc.), per la seconda il PCI e, seppur in via subordinata e fino all’affermarsi dell’istanza autonomistica, il PSI, attraverso le sezioni di partito, le cellule sindacali e il collateralismo di cooperative, ARCI, etc. Ma oltre a ciò, la stessa “industria culturale” fu a totale appannaggio di queste due “ideologie”. Case editrici, riviste e pubblicazioni più o meno dichiaratamente schierate, centri studi e fondazioni “d’area”, mentre i liberali ed i laici trovavano a stento spazi in cui poter esporre il proprio punto di vista. Dopo la splendida e feconda stagione de “Il Mondo” di Pannunzio (1949-1966) e la meteora del primo Partito Radicale, con l’appiattimento, da un lato, dei governi di centro-sinistra in una mera prassi di gestione del potere (e la conseguente apoteosi del doroteismo) e, dall’altro, con l’esplodere delle tensioni sociali monopolizzate dai comunisti e dalle forze della sinistra extra-parlamentare, il campo laico non seppe avanzare una propria proposta politico-culturale alternativa. Ben ricordo come, in questo cupo clima intellettuale (parlo della fine degli anni 70, degli anni 80 e dell’inizio degli anni 90 del secolo scorso), a parte le occasioni collegate alle grandi battaglie per i diritti civili (divorzio, aborto, etc., dovute, per lo più, alla cocciuta intuizione di Marco Pannella), le posizioni laiche trovassero espressione solo ne “La Voce Repubblicana”, quotidiano del PRI, e nell’allora settimanale “L’opinione”, organo ufficiale del PLI. Ed era quasi impossibile reperire, almeno in lingua italiana, i testi di pensatori liberali. Purtroppo, a distanza di oltre 10 anni, sebbene le due ideologie, cui poc’anzi facevo cenno, siano oggi prive di partiti che apertamente vi facciano riferimento e, nel frattempo, abbia fatto il proprio apparire sulla scena politica un movimento che si è proposto come “liberale di massa” (ma che ha ben presto tradito le attese in esso riposte, trasformandosi in una nuova, ma non per questo migliore, “balena bianca”), la situazione è cambiata di poco. Infatti abbiamo, nell’attuale scenario politico, da un lato una coalizione, l’Unione, in cui prevalgono proprio gli eredi del comunismo e quelli del dossettismo, in un compromesso storico bonsai a cui fa da semplice ornamento il drappello laico della RnP; dall’altro la Casa delle Libertà, alleanza in cui la componente liberale, repubblicana e socialista riformista è assolutamente minoritaria rispetto alle istanze clerical-conservatrici, populiste e stataliste. Anche il panorama culturale è piuttosto desolante. A prescindere, infatti, da alcune lodevoli eccezioni (questo quotidiano, la piccola casa editrice Liberilibri di Macerata e, seppur solo in parte, l’editore Rubbettino), altre forze sembrano prevalere: l’ideologia antagonista “no global”, un post-marxismo ondivago e un revanscismo clericale con l’appendice di atei devoti. Poiché, però, l’Italia ha, a mio avviso, bisogno proprio di una forte cultura laica e liberale, che contribuisca anche a far crescere una maggiore coscienza civile, e non voglio arrendermi ad un siffatto stato di cose, considerato che ormai le elezioni politiche sono alle nostre spalle, pur non sottovalutando l’importanza delle consultazioni amministrative, mi auguro che “L’opinione” voglia e sappia farsi promotrice di una iniziativa in tal senso. Fermo restando l’apprezzamento per lo sviluppo dei vari “blog” su Internet, i quali, però, si rivolgono ad un target limitato, ritengo possa essere utile dar vita, su quella che fu l’esperienza de “Il Mondo”, ad un’associazione “Amici dell’Opinione” che organizzi convegni su temi di particolare rilevanza e sviluppi altri progetti per la divulgazione della cultura liberale.


Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 29 aprile 2006
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