Vittorio LussanaLuca Coscioni se ne è andato. Ci ha lasciato tutti quanti qui a pensare e a combattere senza di lui. Se ne è andato in una grigia mattina di febbraio, uno stupido febbraio pre-elettorale dove tutto è vuoto, persino il vento e le persone che camminano in fretta per la strada cercando di sfuggire a qualche nuvola carica di pioggia. Luca aveva 38 anni, esattamente la mia età. Negli anni ’90 era cominciato il suo calvario, una via crucis di dolore e di sofferenza disumana. Ma lui non ha mai voluto arrendersi alla malattia che lo aveva colpito. E grazie alle sue idee e alle sue battaglie, noi abbiamo potuto comprendere che la gente cosiddetta ‘normale’, quando qualcuno sta male, in genere volta il proprio sguardo da un’altra parte. Ognuno di noi ha certamente il diritto di vivere la propria vita come vuole, illudendosi che essa sia immobile, quasi eterna, legata a piccoli momenti quotidiani di spensieratezza o, se vogliamo, di ingenuità. Ma allorquando ci capita di stare male, ci accorgiamo che i nostri amici, anche quelli che credevamo più cari, non sanno più nemmeno cosa dire. Noi fuggiamo dal dolore con una viltà ed una paura assolutamente folli, che ci impediscono persino di riflettere. Perché a certe cose non ci vogliamo nemmeno pensare, perché siamo tutti schiavi di una specie di rincorsa che ci convince di esser sempre sul punto di poter esclamare: “Ecco! Ci siamo! Ce l’ho fatta! Sono felice”! E non ci rendiamo conto che, in un solo momento, quell’attimo è già svanito.
Ecco il grande merito, la vera testimonianza che ci lascia un ragazzo come Luca: farci comprendere che la difesa delle libertà e dei nostri diritti individuali è ben distinta dall’individualismo più egocentrico. In una società in cui tutti gridano, urlano, corrono e litigano, Luca non poteva fare nulla di tutto ciò. Non aveva avventure impossibili da inseguire, né automobili potenti da far correre nelle notti incolori delle nostre autostrade, né altri ‘sfizi’ inconcludenti che riempiono la nostra vita quotidiana. Luca poteva solo inseguire la speranza, l’illusione di un futuro di uomini liberi in grado di sconfiggere il male autentico, se non per se stesso, quantomeno per coloro che si fossero ritrovati costretti a calpestare le sue medesime impronte. Sapeva, probabilmente, che non ce l’avrebbe fatta a resistere ancora per molto. Sapeva già come sarebbe andata a finire. Sapeva tutto, oramai: lo aveva capito e metabolizzato da tempo. Quante sere avrai trascorso, Luca, da solo a pensare? Quante volte ti sarai svegliato nel cuore della notte con la paura nell’anima? Io, che ho la tua stessa età e che godo di discreta salute, certe volte vengo assalito dal terrore di andarmene all’improvviso così come fu per mio padre, per un incidente o per l’improvvisa materializzazione di coincidenze sfortunate. Chissà come saranno stati, per te, certi momenti: come sarai riuscito a resistere a certi pensieri? Oh, Luca, la morte non è niente, non è vero? Essa non è nulla, non esiste nemmeno. Ecco cosa avrai sicuramente pensato. Ed ecco qual è la verità: il nulla non ci può sconfiggere, non ci può uccidere, perché non può soffocare ciò che abbiamo detto, fatto, scritto, pensato, sognato ed amato. La lotta per continuare a vivere è la più grande dimostrazione di coraggio che un uomo possa dimostrare. E lottare come hai fatto tu diviene qualcosa che non si può dimenticare, che quasi ci umilia, poiché ti pone sopra una cattedra dalla quale ci fornisci l’insegnamento più grande: è il tuo spirito, quello che rimane, le tue idee e la tua forza d’animo, il coraggio di uno dei figli più sfortunati d’Italia. Ma pure in questo ci trascini nel vortice più doloroso dei nostri pensieri, poiché anche la fortuna non esiste: essa colpisce a caso e non è mai frutto di qualcosa che meritiamo veramente o che ci siano conquistati soffrendo, lavorando, lottando con tenacia. La fortuna non è amore, Luca: hai avuto ragione anche in questo. E come coloro che hanno ragione fino in fondo, te ne vai lasciandoci qui, nel nostro mondo di bugie e di falsità, di ipocrisie e di doppiezze, come solo un uomo totalmente innocente può fare.
Un grande abbraccio, Luca, dal più profondo dei nostri cuori. E grazie ancora per averci ricordato che tutto ciò che è bene sopravvive, cresciuto di potenza, alla vita terrena di ognuno di noi.


Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 23 febbraio 2006
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