Giuseppe LorinNon appena atterrato all'aeroporto di Fiumicino di ritorno dalla Tunisia, dove si sono svolte le celebrazioni per il ventennale dalla scomparsa del padre, Bobo Craxi si è subito messo in contatto con la nostra redazione, annunciando che sarebbe passato per un saluto e un bilancio delle recenti giornate di Hammamet. E puntualmente, 'il Bobo', come lo chiamiamo noi, ha fatto un 'salto' da queste parti. Questa volta, i temi erano tanti: il bel film di Gianni Amelio; le riflessioni sugli anni di Tangentopoli che appaiono sempre più limpide, risvegliando il garantismo di molti, anche a sinistra; infine, il fatto che, anno dopo anno, sorge sempre un dettaglio o un ricordo in più che, a nostro parere, dovrebbe servire come indicazione anche per molti politici attuali, nel loro affannoso tentativo di recuperare un minimo di credibilità e di qualità professionale. Soprattutto, in una fase politica come questa, 'stracarica' di superficialità e di 'fake news'. Perché di Bettino Craxi resta il ricordo di un decisionismo che aggrediva ogni questione dopo una lunga e saggia riflessione e dopo aver ascoltato il parere di tutti: amici, alleati e avversari. Un decisionismo 'puro', insomma, che non degradava mai nel 'meccanismo' in quanto 'metro' unico di azione politica, o come vuoto atteggiamento travestito da 'trascendenza': un esempio di efficienza ed energia, che trovava una sintesi perfetta tra forma e sostanza. Ecco, dunque, il bilancio di Bobo Craxi a 20 anni dalla scomparsa del padre attraverso questa intervista, che ci ha gentilmente rilasciato dopo esser giunto a portarci un affettuoso e fraterno saluto.

Bobo Craxi, cominciamo dai risultati alle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria: qual è la sua impressione?
"Hanno caricato di significato politico due elezioni parziali e, alla fine, inevitabilmente per chi ne é uscito sconfitto, ciò ha rappresentato un vero e proprio spartiacque. Il Pd e la Lega sono riusciti a 'cannibalizzare' i Cinquestelle e Forza Italia. Quest'ultima resiste nel baluardo calabrese, ma politicamente si é ormai esaurita la sua egemonia nel centrodestra. A sinistra, Bonaccini contribuisce a far respirare il Pd, ma non é detto che un eventuale voto nazionale possa riprodurre le caratteristiche emiliane".

La vittoria di Bonaccini è una boccata d'ossigeno anche per il governo 'giallo-rosso'?
"Non per il Governo, ma per il Pd, che apparentemente vince la scommessa di tornare al Governo senza passare dalle elezioni. I Cinquestelle, invece, escono vistosamente 'lesionati' da questa tornata amministrativa e sembrano destinati a una rapida dissoluzione. Il Pd vive della rendita generata dalla disastrosa esperienza del Governo 'gialloverde'. Ora si porrà il tema dell'inglobamento dell'area 'governista' del Movimento 5 stelle e dello stesso Conte: è la prossima futura mossa del nucleo che si annida dietro Zingaretti".

Mentre il risultato emiliano-romagnolo, tutto sommato, appare comprensibile, il dato calabrese sembra assai contraddittorio: come mai quella regione a ogni consultazione regionale 'sbanda' da una parte all'altra senza darsi pace?
"La Regione calabrese è stata attraversata da una stagione di scandali: il tentativo di rinnovamento a sinistra é fallito. La Santelli, che nuova non é, appare pur sempre compatibile con le esigenze della Regione rispetto all'anziano e consumato imprenditore, Pippo Callipo. É stato il classico voto 'gattopardesco', che non rigenera la Regione, ma le fa tirare una riga, per il momento, sul passato".

Dopo le celebrazioni del ventennale dalla morte di suo padre, qual è il suo bilancio sulla situazione politica italiana?
"Abbiamo cercato di attualizzare quella memoria, riproponendo le sue riflessioni dello scorso fine secolo. Abbiamo inoltre cercato, attraverso la 'storicizzazione', anche di provare a determinare una pacificazione e una riflessione. Sono riemersi vecchi 'miasmi', timidezze e anche qualche meschinità. Ma sul piano nazionalpopolare, a me pare che la sua figura risulti ampiamente rivalutata, la sua fine ritenuta ingiusta e il suo sacrificio unico ed esagerato".

Siamo sulla 'buona strada' per comprendere cosa è successo veramente, in Italia, negli anni di Tangentopoli?
"Siamo in condizioni, oggi più di dieci anni fa, di illustrare con maggiore chiarezza e con maggiori elementi a nostra disposizione che quella 'rottura democratica' fu la rivolta di un ceto 'nazional-capitalista' alleato a interessi internazionali, che si servì della parzialità e della forza del sistema giudiziario per togliere di mezzo i vincitori della 'Guerra fredda' in Italia, mentre gli sconfitti, per più di vent'anni, hanno scorazzato al potere e ci hanno fatto prediche morali e rimbrotti politici. Oggi, quella narrazione è drammaticamente superata da una nuova presa di coscienza collettiva, non univoca, ma assai meno minoritaria rispetto agli ultimi anni".

Il film di Gianni Amelio: è stato emozionante rivedere suo padre attraverso l'interpretazione di Pierfrancesco Favino?
"É stato sorprendente: i protagonisti della Storia, presto o tardi, rivedono la luce nelle finzioni sceniche, a teatro come al cinema. Ha cercato di dare un'anima a un uomo di grande personalità. Non ne ha fatto una caricatura e lo ha trattato con rispetto".

Una sua critica alla direzione registica di Gianni Amelio?
"Amelio é un maestro del cinema, non un regista storico-politico. Ha indagato nell'intimo, sviluppando una sua visione. Io non critico l'insieme dell'opera, ma solo alcune scelte nella sceneggiatura. Tuttavia, ognuno, in particolare gli artisti, deve godere di un'ampia 'licenza poetica'. Se Amelio si fosse messo su una cattedra di Storia sarebbe stato diverso. Ha scritto un romanzo. E il romanzo non può essere criticato per le sue imperfezioni o irrealismi".

In questi giorni, sono usciti anche diversi libri sugli anni di Hammamet vissuti da suo padre: siamo sicuri che la questione non offra il pretesto per uno sfruttamento 'mediatico' della vicenda?
"Al lungo oblio, preferisco l'overdose di queste settimane. Se ciò é avvenuto, evidentemente si sentiva il bisogno di mettere a confronto la classe dirigente di allora con quella odierna, quegli uomini di Stato con quelli di oggi: un confronto, come si é visto, a dir poco impietoso".

Dopo tanti anni, pensa sia stata una decisione giusta, quella di suo padre, di scegliere l'esilio?
"Di fronte a un potere che colpiva principalmente per ragioni politiche e usava l'arma giudiziaria come una 'clava' e innanzi a un'opinione pubblica 'aizzata' dal Pds e dalla destra fascista e leghista, che organizzavano 'presìdi squadristici', apparati coperti dello Stato che promuovevano pedinamenti, lettere anonime, finti furti nelle abitazioni, telefonate anonime e ripetute, non penso sarebbe stato possibile continuare a mantenere un'esistenza decente in Italia. Con l'aggravante che l'obiettivo era quello di finire in un carcere senza alcuna sicurezza, con il rischio di farsi 'suicidare'. A me pare che la scelta di optare per un rifugio o un esilio politico fosse più che giustificata".

Craxi fu un leader di sinistra, ma oggi viene rimpianto soprattutto a destra: cosa significa questa cosa, secondo lei?
"Non viene 'rimpianto' dalla sinistra di origine comunista, ma i socialisti, i socialdemocratici e le sinistre liberali hanno, verso la sua figura, una sensibile 'devozione laica'. Quanto alla destra, é innegabile che il 'mantra sovranista' e la sua 'eurocritica' incontrino nei nuovi movimenti, persino tra i Cinquestelle, un'attenta analisi. Non si può pensare a un'adesione acritica, ma a un giudizio equanime sì. I post comunisti pensano di mondarsi dei loro errori accantonando la figura di Bettino Craxi, ma i più intelligenti e avvertiti fra loro hanno da tempo rimosso questo inganno intellettuale e politico".

La questione di fondo sembra essere una sinistra italiana priva d'identità e una destra che sembra quasi svolgere la funzione "di lotta e di governo" del vecchio Pci: siamo definitivamente approdati nell'era 'post ideologica'? Non sarebbe il caso di tornare alle culture e alle dottrine politiche più autentiche?
"La Storia aiuta a illuminare il presente, ma non può essere condizionante. Bisogna lavorare per mantenere in vita la nostra cultura socialista, evitando di farci precedere o annullare da altri. Non é facile, ma il lavoro duro di memoria e lotta quotidiana farà riprendere il cammino alle nostre idee. Non bisogna avere fretta, perché la revisione é appena cominciata".

Il socialismo democratico e l'area laica non si sono più ripresi dalla tempesta giudiziaria del 1992-'94: non ci sono responsabilità politiche anche della classe politica di allora, che non seppe reagire positivamente ai colpi di 'maglio' della magistratura?
"Distribuire pagelle di 'buoni' e 'cattivi' non ha senso. Prima cessa questo modo di ricostruire la Storia, attribuendo in definitiva tutti gli errori a Craxi, e meglio é. Ognuno ha reagito come ha potuto e con gli strumenti che furono a disposizione. La guerra contro di noi fu totale: casa per casa, ufficio per ufficio, scuola per scuola. Resistere era pressoché impossibile. E quella persecuzione, nei toni é proseguita sino a oggi. Tocca, ancora una volta, a noi reagire e affilare buoni argomenti, per dimostrare le nostre buone ragioni. Noi dobbiamo dar prova di unità e di convinzione. D'altronde, non possiamo pretendere di essere gli unici protagonisti in un mondo plurale e 'liquido'. Tuttavia, pretendiamo rispetto per le nostre idee, che guarda caso sono le uniche diffuse in tutto il continente europeo".

Un paio di annotazioni sulla 'crisi libica': secondo lei, le incertezze del Governo italiano hanno favorito le ingerenze turche e francesi nell'area?
"Abbiamo seguito le indicazioni americane e siamo finiti 'fuorigioco'. Andava sviluppata una linea meno legata alla certezza che Tripoli fosse l'unica autorità politica in Libia. D'altronde, non potendo utilizzare l'uso della forza, altri hanno prontamente sostituito il ruolo italiano. Non potevamo, inoltre, pretendere di mettere una 'mano di protezione' su un'antica colonia: eravamo troppo esposti alle critiche internazionali. In ogni caso, gli 'svarioni' diplomatici sono stati molteplici e ripetuti. E questo é il frutto di una classe dirigente inadeguata".

L'intesa raggiunta tra al Sarraj e il generale Haftar è un buon accordo, oppure è destinato, prima o poi, a 'saltare'?
"L'accordo era e rimane fragile: ognuno cercherà di conquistare nuove posizioni, per sedersi al tavolo da vincitore. Non sono affatto ottimista per i prossimi mesi. La Libia é nel caos politico ormai da quasi dieci anni: una grande sconfitta per tutto l'occidente; una grande fonte di preoccupazione per tutto il Maghreb; un nuovo terreno su cui le nuove potenze dell'area misureranno la loro nuova forza. Bisogna ripensare a tutta la strategia, posto che il 'multilateralismo', come dottrina, ormai fa 'acqua' da tutte le parti".


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