L’Italia laica ha perso di nuovo. A più di un mese dalla sconfitta cocente del fronte referendario, torna necessaria una riflessione matura e attenta su quanto è accaduto, proprio come invitò a fare, a caldo, Daniele Capezzone. Sono in molti ad ammettere, con amarezza, l’attecchirsi di una qualche “impotenza politica” della cultura laica, la difficoltà ad imporsi contro il nemico forse peggiore per uno Stato liberale: l’ignoranza. Riflettendo sugli sconfitti, l’appello che sembra smarrirsi più di tutti è quello che ha richiamato gli italiani ad una presa di responsabilità civile e culturale; il richiamo forte per uno slancio di partecipazione politica, forse, troppo grande per gli orizzonti di molti cittadini. Non me voglia il buon vecchio Marco Pannella, ma la lezione che si ricava dal quorum mancato è quella beffarda che, da libertario convinto, non ha mai voluto accettare: il popolo italiano vive di incoscienza civile ed ignoranza intellettuale. Ma tant’è. In proposito, mi è tornato in mente quanto tempo fa Vittorio Sgarbi disse ad alcuni giovani liberali: in quanto a “paradossi politici”, Marco Pannella è un primatista. In effetti, in tanti anni di battaglie, la sua dipendenza da referendum lo ha trascinato e spesso portato in imbarazzanti contraddizioni: in questo caso diventa esemplare l’episodio del ‘93, quando, assieme ai quesiti sulla legge elettorale, gli italiani si espressero sulla necessità o meno di abolire nientemeno che due ministeri, tra cui anche Turismo e Spettacolo.
Una scelta (ovviamente largamente affermativa) isterica, che al giorno d’oggi condannerebbe il leader radicale alla stregua di un “bollito difensore” di un popolo ignorante e, scusate il volgare pannellismo, “coglione”. Ma non è il caso di infierire, dato che chi conosce lo slancio ideale dell’uomo, deve imparare a comprenderne sia le pause che le virtù. Quello stesso slancio ha portato il mondo laico a guardare con grande interesse, nei giorni scorsi, l’adunata dei Mille svoltasi all’Hotel Ergife di Roma: un week-end da radicali delusi, si, ma pronti a rialzarsi e a mettersi in discussione. Tuttavia, se lo spirito si dimostra sano c’è da guardarsi bene dai contenuti e dalle proposte, compresa l’idea di ispirare un nuovo Partito d’Azione. Anche qui c’è dell’isterismo, dell’avventato, che porta a chiederci anzitutto se un progetto simile debba raccogliere il sentimento laico del 25 % degli italiani, magari sfoggiando personalità e metodo liberali, oppure fare semplicemente omaggio alla retorica post-sessantottina. Il rischio, ed in molti lo hanno riconosciuto, è che l’esito di un progetto politico laico, almeno nella mente di chi lo ha lanciato domenica, possa essere segnato in partenza da un isolamento ideale e politico a cui gli amici radicali ci hanno ormai abituato. Di fatto però rimane la speranza e l’auspicio di tanti giovani, studenti e attivisti, che non ci stanno davvero a vivere un Paese sempre più illiberale, all’ombra del Concordato. Quindi vengono i vincitori. La forza dei numeri, si sa, non ammette troppe fantasie, né tantomeno giustificazioni ai vinti. Nel caso della legge 40, neppure vale il principio metodologico delle conseguenze in intenzionali di azioni umane intenzionali. Insomma la vittoria dell’astensione c’è, ed era ampiamente prevedibile. Come era altrettanto prevedibile che a sostenere in blocco il non-voto, scendesse in campo Santa Romana Chiesa. Così ha un bel dire Alberto Ronchey in un bell’editoriale sul Corsera di giovedì; la vittoria è del Cardinal Ruini e della sua energica politica interventista. Il messaggio è argomentato anche dalle precedenti campagne politiche abbracciate da Camillo Ruini, un lavoro “sporco” che lo ha visto in prima linea sia con Woityla che, ovviamente, oggi con Papa Ratzinger. Ritorna però quantomeno opinabile, la ragione che vuole la crociata lanciata dalla Cei un’autentica chiamata ai fedeli per una difesa convinta della morale cristiana, con annessa la retorica sulla vita. Dello scontro di civiltà e della battaglia contro il relativismo etico (secondo Popper il vero padre della democrazia), gli italiani non capiscono e non hanno capito un bel niente. Al contrario hanno creduto ai richiami medievali e controriformisti di certi preti di provincia, che secondo i pochi meridionali votanti, avrebbero concluso le funzioni religiose con un invito all’astensione. Questa è l’Italia moderna; l’Italia che non vuole credere in se stessa e che un tempo predicava la libera Chiesa in libero Stato. Se ce c’è un ‘altra, per favore non stia a guardare.


Articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 23 giugno 2005
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