Ennio TrinelliC'è stato un periodo nel quale sono stato giovane e bello - "mai le due cose insieme" [cit. Harvey Fierstein] - e nel quale, anche se la mia foto direbbe il contrario, ho avuto molti capelli. In quel periodo, Ron cantava già: si chiamava Rosalino Cellamare e aveva pochi capelli. Ora lui ne ha tanti e io no. Più che una battuta è la triste metafora di un'Italia nella quale il 'vecchiume', per quanto di valore, si ricicla e non 'molla l'osso', mentre il giovane si ritrova vecchio nel tempo stesso in cui i vecchi svendono sé stessi come giovani. Del resto, sono i saggi a creare il tempo. E chi non lo è, politica lo colga. Il Festival di Sanremo, anche nel 2018, è stata la triste metafora di un'Italia mediocre che fa il verso a se stessa, (sapete che, da qualche settimana, abbiamo la libertà di scrivere "sé stesso" con l'accento, vero? Ci chiediamo quando potremo liberamente scrivere "ò fame": parlo di noi umani, non dei 'Super Fanatici' della 'Super Setta', ché loro 'puotono già'...). Un'Italia crogiolantesi su tre accordi, che son quelli che il volgo capisce. E quattro 'fregnacce' che son sempre le stesse e che i critici [sic] chiamano parole e 'gorgheggi' tutti uguali, che chi non ha l'orecchio assoluto - e 'malhereusement', io lo ebbi - scambia per canto. Così, mentre Ornella Vanoni sembra il meglio possibile proprio come Silvio Berlusconi, i 'giovinastri' si dimostrano impreparati alla Luigi Di Maio, o 'fringuelli' alla Matteo Renzi che giocano a chi la dà via meglio e non necessariamente al miglior offerente. Al contempo, gli 'alternativi' sembrano dei fatiscenti Pietro Grasso, che con l'amichetto Nicola Fratoianni giocano a chi imita meglio Francesco Guccini in memoria di suo nonno, il quale diceva: "Mì sün sémper stà comünista"! Insomma, più di dieci milioni di italiani hanno dovuto assistere impotenti alla devastazione sanremese convinti di divertirsi, così come assistono, ancor più impotenti, alla devastazione italica persuasi di contare qualcosa, perché possono insultare e maledire l'avversario su Facebook. E' davvero una vita straordinaria, vero? Chi l'avrebbe mai detto che, con tutto il nostro sapere, la nostra cultura, le nostre innovazioni e la nostra possibilità di 'sfanculare' qualcuno a Bari sapendo di esser letti perfino ad Alice Springs, solo di quello ci saremmo accontentati, noi che ci sentiamo "un popolo di santi, eroi, navigatori e trasmigratori", ma non sappiamo nemmeno piazzare le 'h' al posto giusto? E così, tristemente, Sanremo dopo Sanremo, elezione dopo elezione, insulto dopo insulto, la nostra vita scorre rapida e ci ritroviamo già vecchi, con le cataratte devastate quanto le gonadi (e solo le prime sono sostituibili), costretti ad ascoltare coloro che, assai più vecchi di noi, sono ancora lì dove stavano quando eravamo noi a essere giovani e loro già non lo erano più. Sarà perché, mentre noi bestemmiavano e ci insultavamo 'via social', loro ce le mettevano 'in quel posto' e non ce ne siamo accorti? Temiamo proprio che sia così.


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