Annalisa CivitelliIn attesa dell'esito finale del Roma Fringe Festival 2017, ormai giunto alla sua settimana decisiva, abbiamo incontrato Giorgia Mazzuccato, attrice veneta che ha partecipato alle ultime due edizioni del contest capitolino, giungendo in finalissima nel 2015 e vincendo il premio 'Special Off' l'anno scorso, con lo spettacolo 'Viviamoci'. Una rappresentazione sofisticata e intelligente prodotta dalla 'Siti' (Scuola internazionale di teatro all'improvviso), che proprio in questi mesi è stata presentata anche negli Stati Uniti e in Messico. La Mazzuccato è tornata da poco in Italia con un bagaglio ampio di impressioni ed esperienze, ma anche di nuovi premi. Viaggiare, improvvisare e recitare lasciano un segno indelebile nell'artista, che lei definisce: "Un collezionista di 'brandelli' di realtà ai quali, con sapienza tecnica, concede una nuova forma rivoluzionaria". Ecco dunque le sue prime impressioni dopo questa sua lunga e fortunata toornée internazionale dall'altro lato dell'Atlantico, in cui si è ritrovata a dover recitare in lingue diverse e in contesti culturali molto distinti e distanti dai nostri.

Giorgia Mazzuccato, puoi raccontarci, innanzitutto, come è arrivata la 'chiamata' per prendere parte ai Fringe Festival degli Stati Uniti e in Messico?
"Avendo vinto il 'Premio Off' al Roma Fringe Festival 2016, alcuni 'Fringe' americani si sono interessati al mio spettacolo e lo hanno richiesto come ospite internazionale dall'Italia".
 
Chi ti ha contattata e come?
"Sono stata contattata dal direttore artistico ed esecutivo del San Diego Fringe Festival, Kevin Patterson e dal direttore artistico dell'Hollywood Fringe Festival, Matteo Quinn. Erano entrambi molto felici di proporre lo spettacolo di un'artista italiana in America. Se il mio lavoro negli Stati Uniti è andato bene devo ringraziare tantissimo anche Maria Beatrice Alonzi, che ha prodotto insieme a me lo spettacolo ed era con me in California, per aiutarmi. Silvana Lagrotta e Giovanni Salvatori, invece sono rimasti qui per prendere le redini e portare avanti il lavoro de 'La Siti', la scuola e centro di produzione da me fondato insieme a Maria Beatrice".

Torni in Italia con un riconoscimento prestigioso: quello di miglior artista internazionale. Inoltre, 'Lifegate' (il tuo adattamento di 'Viviamoci' per gli Usa) hai ricevuto il premio come miglior spettacolo mondiale dell'anno, il 'Best&Outstanding International Artist', al San Diego International Fringe Festival 2017: sei soddisfatta di quest'esperienza americana?
"Tantissimo: è stata un'esperienza incredibile, a dir poco eccezionale. In 19 giorni ho avuto modo di esibirmi per 12 volte, sfidando me stessa nel recitare in lingua inglese di fronte a un pubblico estraneo, diverso da quello al quale sono abituata. Ogni giorno è stata una sfida, stimolantissima e meravigliosa. Ogni giorno ho cercato di capire un po' di più la cultura che mi circondava. E ho tentato di conquistare uno spettatore in più rispetto alla sera precedente. L'arte è universale? E' una domanda molto importante, che più volte mi sono posta durante questa tournée".

Far conoscere all'estero una realtà piccola come quella di Padova, pensi possa essere rilevante a fini sociali?
"Credo proprio di si. Poco dopo il mio ritorno dalla California, ho avuto il piacere di replicare 'Viviamoci' proprio a Padova, la città dove sono nata e della mia famiglia. La risposta? Nonostante fosse agosto e con un clima 'tropicale', il teatro era strapieno. Tanto che gli organizzatori hanno dovuto lasciare fuori delle persone. Ho sentito l'affetto e il supporto della mia città rispetto a quello che avevo fatto. Ed è stato un momento davvero importante per me. Sono e mi sento 'figlia' della mia città: renderla fiera di me e sentirla parte del mio percorso è un motivo di enorme orgoglio. La seconda cosa che mi rende felicissima è il fatto che molti ragazzi giovani si sono avvicinati al mondo del teatro. Infatti, ben sette ragazzi, che non conoscevo, al termine della replica sono venuti a parlarmi e mi hanno ringraziato, perché erano rimasti colpiti e toccati dal mio spettacolo. Mi hanno detto che, entusiasti dell'esperienza, sarebbero andati a vedere tanti altri spettacoli e che, probabilmente, si sarebbero iscritti ad un corso. E' stato davvero emozionante sentire queste parole. Le persone hanno voglia di teatro: se non riescono sempre a vederlo non è di certo colpa loro".
 
Quanto è durato il lavoro di traduzione dall'italiano 'Viviamoci' all'inglese 'Lifegate'?
"Per fortuna, ho sempre maneggiato abbastanza bene la lingua inglese. Per questo, il lavoro di traduzione è durato una decina di giorni, non di più. Quel che mi ha rubato la maggior parte del tempo è stato, in particolare, il lavoro di ricerca per riadattare lo stesso contenuto, la stessa storia, a un altro contesto. Un personaggio che vive in Italia è necessariamente diverso da un altro che vive negli Stati Uniti. E' stato davvero molto stimolante immergersi in una nuova dimensione creativa e culturale. Ed è stato esaltante veder cambiare i miei personaggi dalla forma italiana a quella americana: avevano tutt'altra psicologia e diverso carattere".

Recitare in una lingua non tua, abbracciare nuove dimensioni e culture differenti: come ti sei sentita?
"Gratificata. Non si è trattato di un punto d'arrivo particolare, ma sicuramente è stato un 'salto' rilevante per la mia carriera. Adattare il mio lavoro per un'altra cultura è stato un passo importante nella consapevolezza nei miei mezzi. Ed è gratificante pensare che qualcuno, dall'altra parte del mondo, abbia voluto che io andassi lì a fare il mio lavoro: raccontare storie".

Quale importanza ha essere turista nel mondo - anche dal punto di vista artistico - e avvicinarsi a caratteristiche diverse dalle nostre?
"E' fondamentale, necessario, vitale. L'artista, a mio parere, è un collezionista di 'brandelli' di realtà, ai quali, con sapienza tecnica, concede una nuova forma rivoluzionaria. Per fare questo è perciò necessaria la materia prima, ovvero la realtà in tutte le sue sfaccettature di cultura e vissuto. In passato, non tutti gli artisti avevano l'occasione di viaggiare quanto possiamo farlo noi oggi e rimediavano a ciò con un'incredibile mole di studio e immaginazione. Noi, oggi, abbiamo molte più facilitazioni e, in 13 ore, possiamo essere dall'altra parte del mondo: dobbiamo avere fame di vita".

Da insegnante d'improvvisazione teatrale, durante la tua trasferta, oltre a interpretare il tuo monologo avrai anche approcciato diverse tecniche e linguaggi teatrali: quanto hai appreso e potrai donare ai tuoi alunni?
"Quello che mi piace insegnare ai miei alunni è il teatro. L'improvvisazione teatrale è 'solo' un meccanismo narrativo, una tecnica drammaturgica e creativa straordinaria. Mentre lavoravo in California, gli organizzatori del festival mi hanno chiesto anche di tenere un corso secondo il metodo di formazione che ho codificato: il metodo 'Mit'. E' stato oltremodo utile anche a me, per comprendere quali messaggi fossero trasversali e semplici e quali meno. Tra spettacoli e corsi, in quei meravigliosi 19 giorni ho appreso moltissimo e non vedo l'ora di poterlo condividere con i miei attori. Il programma didattico, che uscirà i primi giorni di settembre, è stato strutturato anche in base alle nuove nozioni, ai nuovi linguaggi che ho conosciuto e appreso in questo viaggio".


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