Raffaella UgoliniCristina Carrisi è un'attrice strepitosa. Il suo pregio principale è un volto assolutamente espressivo, capace di materializzare qualsiasi emozione e sensazione. Una qualità che le dà modo di riuscire a rappresentare perfettamente tantissime donne, le quali assumono, in scena, una propria identità: donne talmente reali da lasciare l'impressione di aver assistito a uno spettacolo composto dalle perfomances di più attrici, molto diverse tra loro. La capacità di trasformasi in tante persone assai distinte tra loro è la caratteristica principale di una vera artista, che è riuscita a dar voce all'universo femminile attualizzandolo tra i suoi problemi di oggi: i suoi recinti, le sue gabbie, i suoi orribili luoghi comuni. Nello scorso autunno, la Carrisi ha partecipato alla rassegna 'Frammenti al femminile', organizzata da Patrizia Schiavo presso il nuovo spazio di ricerca sperimentale della capitale 'Teatrocittà'. Per Cristina Carrisi si è trattato di un successo pieno, di pubblico e critica, che l'ha portata ad aggiudicarsi il primo premio sia nella categoria 'Miglior spettacolo', sia in quella come 'Miglior attrice under 35'. In quest'intervista, abbiamo voluto conoscere meglio questo indubbio nuovo talento del nostro teatro più 'alto' e impegnato.

Cristina Carrisi, il tuo spettacolo 'Prigionia: femminile singolare', a dispetto del titolo è una sorta di rassegna di distinte figure femminili appartenenti a contesti sociali ben diversi tra loro: puoi parlarci di queste tue eroine?
"Singolare, ma fin troppo trasversale e frequente è l'autosabotaggio in cui le mie cinque eroine incappano, anche se donne molto differenti nel tessuto socio-culturale d'appartenenza e nel temperamento. C'è una kamikaze che, per questioni personali, decide di immolarsi alla causa politica; un'attempata vergine che vive segregata nel morboso ricordo di una madre oppressiva; una donna innamorata di un uomo manipolatore; una mamma in crisi, divisa fra i doveri verso la famiglia e quelli verso se stessa; una ragazza che fa del sesso il proprio 'biglietto da visita' sul web.  E poi, a sorpresa, ci sono anch'io".   

Si tratta di vicende che avevi letto da qualche parte, oppure sono totalmente di fantasia?
"L'idea generale, 'in nuce', di 'Prigionia' nasce un giorno di maggio del 2016, principalmente da vicende autobiografiche legate a una relazione affettiva che sabotava la mia autostima. A partire da lì, si è sviluppata la volontà di raccontare in teatro le donne che, per amare e compiacere altrui istanze, tradiscono se stesse. Per quanto riguarda l'ispirazione di ogni singola storia, le fonti che la stessa drammaturgia di tutti i tempi fornisce sono molteplici: possono andare da Ofelia a Medea. Ma è stata primariamente la cronaca e l'attualità ad alimentare e a incanalare, man mano, l'immenso blocco di materiali a nostra disposizione. Avendo la fortuna di conoscere dei talentuosi autori, ho giuocato in team: Aniello Nigro e Giovanna Manfredini hanno preso parte attiva alla raccolta  di materiali per suggestionare su più fronti il lavoro di ciascuno. Articoli di giornale, saggi di filosofia, antropologia, psicologia, tutto quanto potesse confluire nel calderone dell'ispirazione è stato prezioso e continuerà ad arricchire il progetto, che non smette di essere un work in progress. Sicuramente, la lettura che più mi ha coadiuvato nell'idea generale è stato un libro consigliatomi da un'amica all'epoca dei miei personali disastri sentimentali e che, a mia volta, consiglio a tutte le donne che ancora non lo avessero letto: 'Donne che corrono coi lupi' di Clarissa Pinkola Estés (Frassinelli editore, ndr)".

Tu ritieni di essere un'attrice eclettica, versatile, oppure hai qualche limite? E quale?
"Tanti limiti. E i limiti di un attore sono soprattutto le esperienze di vita che non ha fatto. Per questo, cerco di forzare la mia indole pigra: l'attore dev'essere curioso di qualsiasi cosa, instancabile nella conoscenza del mondo. Il nostro compito è quello di saperci trasformare di volta in volta, per 'evocare' e 'rievocare', affinché l'occhio dello spettatore possa 'riconoscere' la verità dietro la finzione. E poi, sì: devo lavorare molto sull'autostima. Per quanto riguarda la versatilità, sicuramente l'universo femminile dello spettacolo 'Prigionia' gioca e oscilla molto fra dramma e umorismo. E questa caratteristica del testo probabilmente ha favorito le mie qualità espressive".

Un testo grazie al quale hai sostanzialmente dominato e vinto la rassegna 'Frammenti al femminile', organizzata dal nuovo spazio 'Teatrocittà' di Patrizia Schiavo: ci racconti com'è andata?
"E' stata un'esperienza fantastica: l'umanità che ho trovato dal primo momento in cui ho messo piede a 'Teatrocittà', il centro di ricerca teatrale e musicale di Torrespaccata, è merce rara, davvero. Per me, è la conditio sine qua non del fare teatro, ma posso assicurare che non accade così spesso di avere a che fare con persone con tale generosità e competenza allo stesso tempo. Ringrazio la realtà di questo spazio della periferia romana, che conoscere è stato un onore e una fortuna: tutti i collaboratori del Teatrocittà sono e resteranno nel mio cuore. In particolare, Patrizia Schiavo, che si è prodigata per questo progetto in cui ha creduto fin da subito sino al punto di decidere, per sua inenarrabile generosità, di prendere su di sé la regia dello spettacolo (che per il 'corto' della rassegna 'Frammenti al femminile' era stata curata da Luca Sebastiano Scelfo). Non mi aspettavo di vincere e non lo dico per piaggeria: ciascuna serata di selezione è stata una sorpresa. Il mio unico obiettivo era dare il meglio, affinché al pubblico arrivasse quel che volevo dire, combattendo non poco con me stessa per mettere in secondo piano la mia persona (l'ego è un eterno problema e non solo per gli attori...) e portare in scena con onestà delle storie, delle vite. E poi succede che si vince quando l'ultimo dei nostri 'problemi' è vincere...".

Uno dei tuoi punti di forza, secondo la critica, è l'espressività del tuo volto, la capacità di trasmettere al pubblico emozioni, passioni, dolori e sentimenti: pensi che questa caratteristica basti, oggi, per affermarsi come una professionista di livello, oppure la mediocrità dell'intrattenimento e della cultura televisiva ha ormai distrutto ogni velleità qualitativa e artistica?
"Niente è distrutto finché c'è un cuore che batte, anche dietro alla mediocrità. Certo, la televisione non la guardo. E penso che se tutti cercassero di meglio da fare (disintossicarsi può essere difficile all'inizio, ma in seguito gli effetti sono solo benefici...) allora sarebbe una gran bella protesta contro la mediocrità e le cose potrebbero davvero cambiare. Per questioni anagrafiche non ho potuto viverla, ma rimpiango la televisione dei grandi sceneggiati che dagli anni '50 e '60 del secolo scorso, che per lunghi decenni hanno acculturato gli italiani e contribuito a creare un 'collante' alla nostra coscienza d'appartenenza. Ecco, per me la televisione, se non ha la funzione di intrattenere trasmettendo cultura, non serve proprio a nulla. Eppure, viviamo in un Paese dove esiste la 'bislacca' espressione, di solito dispregiativa, del 'troppo culturale'. Ho fiducia che le coscienze si risveglino. E so che questa è una missione per molti".

Come può reagire il mondo del teatro e della cultura più 'alta' alla deriva populista e piccolo borghese da tempo in atto, secondo te?
"E' la domanda più difficile. Intanto, la cultura 'alta' non dovrebbe troppo 'ghettizzarsi', ma neanche troppo asservirsi al compiacimento fine a se stesso: è, o dovrebbe essere, un compito di difficile 'equilibrismo', quello della cultura, che credo abbia un rapporto non troppo 'sano' con la politica. Ecco, delle due penso che la seconda debba assumersi la responsabilità di avvicinarsi alla prima, più che il contrario. Troppo spesso, invece, la cultura del nostro Paese si avvicina e sottostà alla politica. E ciò avviene per tentare di sopravvivere. Ma Garcia Lorca affermava che un Paese e un Governo che non aiuta e non stimola il teatro, o è morto, o è moribondo. Per non assecondare questa deriva c'è tanto da fare: splendide realtà culturali come quella del 'Teatrocittà' di Patrizia Schiavo, per esempio, andrebbero aiutate e istituzionalizzate".



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