Michele Di MuroIl nuovo presidente degli Stati Uniti d'America corrisponde al profilo del politico in grado di attirare su di sé le più feroci critiche da parte dei protagonisti della vita culturale, anche al di fuori dei confini nazionali. Le parole pronunciate da Trump in campagna elettorale, tacciate di razzismo e misoginia, nonché le azioni da lui già prodotte (nel giorno dell'insediamento, avvenuto il 20 gennaio scorso, il neo-presidente ha firmato un decreto esecutivo per ridurre gli effetti dell'Obamacare, la riforma sanitaria prodotta dalla passata amministrazione che si proponeva, tre le altre cose, di garantire la copertura sanitaria a tutta la popolazione) hanno avuto, come effetto immediato, la rinascita, dopo i due mandati di Barack Obama, di un sentimento generale di opposizione. Tutti, o quasi, sono contro il 'Tycoon'. In concomitanza col passaggio di consegne alla Casa Bianca, si sono succedute manifestazioni di protesta. Il giorno successivo all'Inauguration day, nelle principali città americane, europee e asiatiche abbiamo assistito al moltiplicarsi delle 'Women's March': se ne contano più di 670. Un'iniziativa creata dall'avvocato in pensione Teresa Shook, che ha finito per raccogliere le voci dei sostenitori dei diritti civili e degli ambientalisti e che ha visto la partecipazione di attori e artisti di fama internazionale. La musica sta avendo un ruolo fondamentale in questo processo di 'ricompattamento' del sentimento collettivo. Artisti e band del calibro di Neil Young, Queen, Rolling Stones, Aerosmith, Adele, House of Pain, Elton John, R.E.M. e gli eredi di George Harrison e Luciano Pavarotti hanno impedito a Trump - spesso mediante comunicati dai toni aspri, diffusi sui social network - l'uso delle proprie canzoni negli eventi che hanno costellato la campagna elettorale. Céline Dion, Elton John, Andrea Bocelli (quest'ultimo, in un primo momento, aveva manifestato una volontà positiva) e finanche il trio de 'Il Volo' hanno declinato l'invito del comitato organizzativo a esibirsi in occasione della cerimonia di insediamento, alla quale, in veste di unica 'celebrità', ha preso parte, alla fine, la sedicenne finalista di 'America's Got Talent 2010', Jackie Evancho, che ha intonato l'inno nazionale. Impietoso risulta il confronto col party di addio degli Obama, al quale hanno preso parte numerose 'star' come Jay-Z, Beyonce, Robert De Niro, David Letterman, George Lucas, Eddie Vedder, Bruce Springsteen, Paul McCartney e molti altri. Le reazioni del mondo artistico e musicale rispetto all'elezione di Donald Trump sono andate ben al di là di questi gesti, che hanno invero un forte valore simbolico. La salita al potere dell'imprenditore newyorkese ha stimolato le coscienze e la creatività di molti artisti, che hanno, più o meno dichiaratamente, espresso il proprio pensiero. Un dissenso che viene veicolato sui profili social, sui palchi e tramite le canzoni. Gli 'Audioslave', band formata da 3 dei 4 elementi dei 'Rage against the machine' (da sempre impegnati politicamente) e dal cantante dei Soundgarden, si sono riuniti in occasione dell'Anti-Inaugural Ball di Los Angeles. Si tratta di un evento parallelo, nato in opposizione al 'ballo' inaugurale di Washington, del quale sono stati 'headliner' i Prophets of Rage, la nuova band del chitarrista degli Audioslave, nonché sostenitore di 'Occupy Wall Street', Tom Morello. Queste le parole che hanno anticipato il concerto: "Vogliamo creare delle 'Zone no Trump' in tutta la nazione: nelle nostre case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro e sui palchi dei concerti. Pessimi presidenti causano ottima musica". Se il musicista Moby si è reso protagonista di una ossessiva campagna di opposizione su Twitter e Facebook, il cantante dei 'Pearl Jam', Eddie Vedder, ha più volte inveito dal palco contro l'allora candidato e poi neo-eletto presidente, come avvenuto il primo maggio scorso durante il concerto del Madison Square Garden: "Si fotta Trump: è come se ogni volta che dice grande (huge) il suo pene diventasse più piccolo". A ridosso dell'insediamento, gruppi musicali di caratura mondiale, come Arcade Fire e Gorillaz hanno pubblicato a sorpresa due singoli che, in maniera diversa, vogliono fare luce sul momento storico, considerato estremamente drammatico. In collaborazione con la cantante soul e attivista Mavis Staples, i canadesi guidati da Win Butler hanno pubblicato 'I give you power'. Il brano e il video, i cui proventi sono destinati all'American Civil Liberties Union, sono accompagnati da un messaggio che invita a fare fronte comune: "Non è mai stato così importante che noi restiamo uniti e ci prendiamo cura gli degli altri". Il testo della canzone, ha sottolineato 'The Guardian', a mò di monito ricorda al neopresidente che, certamente, avrà pure vinto le elezioni, ma presto potrebbe anche perdere ugualmente il potere. La traccia della band di Damon Albarn, che vede la partecipazione di Benjamin Clementine, s'intitola in maniera programmatica 'Hallelujah Money' ed è correlata dal video dalle tinte apocalittiche. Quest'ultimo è un brano 'scuro', complesso per arrangiamento e melodia, nel quale il riferimento al 'Tycoon' si palesa nel verso: "Ho pensato che il modo migliore per perfezionare il nostro albero sia costruendo dei muri, muri come unicorni". Risulta difficile valutare il peso reale che tali iniziative riusciranno a esercitare sull'opinione pubblica. Bisogna anche dire che l'appoggio delle 'celebrities' non è bastato a Hillary Clinton per vincere le elezioni. Il mandato del quartacinquesimo presidente è appena iniziato e molto dipenderà dalle sue azioni, ma certamente la sua elezione ha fortemente 'scosso' il panorama culturale internazionale. D'altronde, la storia della musica occidentale moderna è fortemente connessa agli eventi della politica e, sin dagli anni '60 del secolo scorso, molteplici sono gli esempi di dischi e canzoni che testimoniano un forte impegno politico. In anni più recenti, col disco del 2006, dal titolo 'Living with war', Neil Young si è posto in posizione fortemente critica nei confronti dell'amministrazione Bush. Gli otto anni di governo di Barack Obama sono stati, dunque, solo una breve pausa? Noi temiamo che sia così. Quel che è certo è un mondo della politica incapace di presentare candidati credibili e costretto a cedere il passo a degli 'outsider' privi di equilibrio e senso del limite.


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