Paolo Spirito"La musica è quantità, misura, nel periodo in cui viene composta o nell'attimo in cui lo strumento stimolato dal musicista, la produce. Qui si compie un salto misterioso: quello che noi ascoltiamo è immateriale e, nell'attimo in cui lo percepiamo, sparisce per diventare memoria. La musica è il segno più sublime della nostra transitorietà. La musica, come la bellezza, risplende e passa per diventare la memoria, la nostra più profonda natura. Noi siamo la nostra memoria". Sono ormai più di quindici anni che il Maestro Giuseppe Sinopoli, sommo direttore d'orchestra e compositore di tutto rispetto, è scomparso, stroncato da un infarto la sera del 20 aprile 2001 al terzo atto dell'Aida, che dirigeva all'Opera di Berlino. Eppure, la memoria e l'affetto per il grande musicista è più vivo che mai, come dimostrato dall'interesse di pubblico e critica in occasione della pubblicazione de 'I racconti dell'isola', edito da Marsilio. Dotto 'germanista' e fine cultore di studi archeologici, collezionista di antichità di altissimo livello, come attesta la sua raccolta oggi esposta all'Auditorium Parco della Musica di Roma, il Maestro aveva acquistato un rudere a Lipari e lo aveva restaurato, al fine di restituire a quel luogo d'elezione l'essenza di magico sito. Posta su di uno dei punti più panoramici dell'isola, il Maestro volle ricostruire la casa - Casa Aristaios, in Contrada del Cappero - secondo un criterio simbolico, sì da immettere nello spazio della sua vita terrena il tempo quintessenziale della sostanza mitica che il sito liparota evocava. Ma più il Maestro cercava di approfondire e conoscere il retaggio dell'Antico che nutre la civiltà, più ne avvertiva l'impossibile attingimento. Il 'libretto', con una bellissima prefazione del figlio Giovanni e una postfazione di Quirino Principe, contiene tre racconti: I corvi di Apollo; L'albero di Ippolito e La nave di Ulisse. I primi due, conosciuti dai liparesi che avevano potuto leggerli pubblicati da 'Arcipelago in'; il terzo, inedito, trovato da Giovanni nella biblioteca di Lipari. Il contenuto di questo lavoro è illuminante, per chi volesse scoprire che cosa Giuseppe Sinopoli intendesse quando parlava delle Eolie come "le isole della bellezza colta". Infatti, in ogni riga di questa quarantina di pagine traspare lo sguardo trasfigurante con cui l'artista guarda i paesaggi, a cominciare dalla sua casa del Cappero, che volle intestare ad Aristaios, il re-pastore del mito greco, nato mortale e poi divinizzato, curatore degli ulivi e delle viti, delle api e delle pecore, da cui ricavava il formaggio e il miele. Sinopoli rintracciava nella parte orientale della Sicilia la sua autentica 'terra natale', in una porzione di territorio che, ancora oggi, misteriosi legami uniscono all'originaria cultura degli antichi Greci. La fertilità e la tenacia di questi legami vengono ribaditi in 'I racconti dell'isola', le cui pagine esprimono l'intensità degli affetti e delle ragioni che riconducevano l'autore a orizzonti in cui il tempo pareva trasfigurare nell'eterno. Sinopoli sottolinea l'importanza della passione e del disincanto. E ribadisce quanto sia importante ascoltare in modo consapevole il presente, per accorgersi della sotterranea persistenza di un passato che legittima la nostra attualità: "Una notte di primavera - scrive ne 'L'albero di Ippolito' - in cui il firmamento era trapunto da una vibratile rete di stelle e lattescenti galassie venavano di bianco il nero morto del cielo, mi aggiravo con passo lentissimo tra pini, ulivi, mimose ed un'infinità di piccole piante che, come muti serpentelli dai mille colorati occhi minuti, strisciavano sulla terra calda ancora del prolungato bacio di Apollo. Era l'equinozio di primavera, l'artemisio dei Dori, il giorno sacro ad Artemide. Apollo s'era calato d'un tratto nel mare di ponente infuocando l'orizzonte quasi a volerne incendiare gli abissi. Artemide [...], si levava a oriente, leggermente spostata verso sud, come a trovare una complicità nell'antico dio Vulcano". Nel primo racconto, quello de 'I corvi di Apollo', Sinopoli ci dice che, per lui, tornare a Lipari, ogni volta significa ritrovare un luogo privilegiato "il centro da cui si irradiano, indietro nel tempo, innumerevoli fili, per millenni". E il 'centro del centro' era la 'Casa Aristaios', la sua abitazione sull'isola. Da lì poteva osservare "il mare muto e greve, da cui il sole non riusciva a liberarsi per salire alto nel cielo e superare Vulcano, gli ulivi. Aristaios, Artemide, i corvi che volavano bassi, lasciando solo di rado diffondere quel loro roco rantolo, Apollo, Dionisio, tutto, [...] nell'arcano arcipelago del vento, sembrava rispondere a un antico richiamo". Lipari e le Eolie sono le isole della bellezza colta, su cui vale vivere, ma anche tornare per morirvi. Ne 'La nave di Ulisse', Sinopoli immagina l'ultimo ritorno all'isola, quello della morte, che per lui è il ricongiungersi al tutto non più divisibile. Una notte d'estate un uomo sbarcò sull'isola. Vi giungeva dal canale di ponente, quello tra Lipari e Salina. Il suo viaggio era iniziato lontano, estremamente lontano e scese su una piccola spiaggia di fronte a Vulcano e da lì, dopo un sonno vuoto di sogni, si avviò lentamente per l'erto sentiero che, schiacciato tra le rocce, conduceva fra rovi e ginestre su fino al pianoro del Cappero, alle mura di cinta di 'Casa Aristaios'. "Aveva raggiunto l'isola perché sapeva che era giunto il momento di congedarsi dalla vita, dialettica eterna di essere e coscienza, di luce e oscurità. [...] E il tempo diventa 'non tempo' e lo spazio diventa 'non spazio' e la coscienza si dilegua, vanità ultima dell'essere. La morte è questo 'non tempo', questo 'non spazio', dove l'essere, spogliato della coscienza, perde ogni identità particolare per divenire il 'tutto', l'unità non più divisibile".


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