Giorgio MorinoFa sorridere, se non addirittura ridere di gusto, la lettera del comico genovese, Beppe Grillo, pubblicata in questi giorni sulle pagine del 'Corriere della Sera'. Uno scritto in cui questo lacunoso 'leader de' noantri', che per lungo tempo aveva deciso di mettersi in disparte dopo la dipartita di Roberto Casaleggio, sembra aver abbandonato ogni remora al fine di di assumere il ruolo di vero trascinatore delle sorti del M5S. Una scelta tutto sommato comprensibile, dal momento che ogni Partito, per funzionare, ha bisogno di una figura 'forte', capace di far presa sulle masse. Una decisione ancor più condivisibile se si presta attenzione alla ormai spinosa 'questione romana'. In ogni caso, preda di un disordinato 'flusso di coscienza' di 'sveviana memoria', il portavoce 'pentastellato' ammette, per la prima volta, la condizione umana dei ragazzi che compongono il movimento da lui fondato. "Mi è venuto un sospetto", scrive Beppe Grillo, "molta gente vuole la perfezione. In Italia, in Europa e nel mondo vogliono la perfezione. In fondo, se qualcuno sta lì a vedere i dibattiti su di noi senza parlare della paura che hanno di noi i corrotti e gli inciucioni, però discutono solo di imperfezioni nostre, perché  questi spettacoli tristi hanno 'audience', cosa ci sta chiedendo la gente (almeno quella che non cambia canale guardando queste imbecillità)? Temo la perfezione... E perché temo la perfezione? Semplice: è una proprietà che può essere soltanto inventata o sognata. La perfezione capita per alcuni istanti, non di più: se la chiedi significa che vuoi la dittatura". Ora, tralasciando l'associazione 'perfezione-dittatura', che non trova alcuna corrispondenza concettuale - le dittature non risolvono, né eliminano, le contraddizioni: le occultano all'interno del proprio 'apparato' o del Partito... - questo 'guazzabuglio' di concetti sulla richiesta di perfezione si può spiegare al cittadino Grillo in questo modo: ogni campagna elettorale dei 5 Stelle è basata proprio sulla promessa di perfezione. E i cittadini su queste basi vi hanno votato. Siccome non state mantenendo le promesse fatte, spesso per totale incapacità o inesperienza, la massa 's'incazza', poiché non vede le cose cambiare. Facile: non serve tirare somme filosofiche che non stanno né in cielo, né in terra, sulla 'perfezione'. Ma il punto davvero interessante delle lettera di Grillo lo si può rilevare qualche riga dopo, quando il 'comico-cittadino' parla della 'bagarre' che sta investendo il sindaco e la giunta capitolina: "Se non siamo neppure capaci di affrontare insieme uno scrollare fra i tanti che i peggiori romani stanno rivolgendo alla Raggi, allora mi scuso e, se fosse possibile, vi restituirei i voti. Ma non si può: le cose devono fare il loro corso e noi non ci arrendiamo"! Questo passaggio, al netto del giudizio da 'portinaio' contro i 'peggiori romani' che, onestamente, non si spiega, contiene in realtà uno 'spunto' interessante. Spesso, infatti - ma non solo nel caso dei 5 Stelle perché bisogna essere sinceri - ci si trova di fronte a rappresentanti politici che non svolgono il loro lavoro sulla base delle promesse fatte in campagna elettorale, rivelandosi ben altro rispetto ai desideri della maggioranza dei votanti. In tal senso, si potrebbe dire che l'unica espressione veramente democratica concessa ai cittadini non sia il voto, ma la sopportazione e l'attesa per la fine del mandato. Le cose, tuttavia, non stanno propriamente così: esisterebbe, infatti, un 'istituto' giuridico fantastico, tristemente non previsto nel nostro ordinamento: la 'revoca degli eletti'. In inglese si chiama 'recall' ed è l'atto che fa da contraltare alle elezioni politiche. Si tratta di uno strumento attraverso il quale gli elettori possono rimuovere, in forma motivata, un funzionario pubblico prima della scadenza del suo mandato. Si tratta di un istituto tipicamente americano, introdotto originariamente nel 1903 nella città di Los Angeles a livello locale e poi applicato nell'Oregon nel 1908. L'obiettivo originario del 'recall' era quello di contrastare il 'servilismo' degli eletti nei confronti - guarda un po'... - delle 'lobby organizzate'. Oggi, questo strumento viene applicato o risulta previsto in quasi tutti gli Stati americani, quasi sempre a livello locale. E rappresenta uno strumento efficace per sanzionare 'dal basso' i rappresentanti eletti e la stessa pubblica amministrazione allorquando questi ultimi non fanno il proprio dovere per responsabilità individuale, completando il modello democratico rappresentativo. Purtroppo, la nostra Costituzione, apprezzabile ma carente in alcune sue parti, vieta un istituto giuridico del genere all'art. 67 C. ("Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato"). Ciononostante, applicando qualche correttivo per limitare un eventuale utilizzo della revoca evitandone l'abuso, sarebbe interessante superare questo impedimento costituzionale e vedere gli effetti che l'introduzione costituzionale di un simile strumento avrebbe sulla classe dirigente italiana. 5 stelle inclusi. Dunque, attenzione a quel che si chiede, cittadino Grillo: un giorno, si potrebbe ottenerlo...


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