Fabrizio FedericiGià nel 2015, durante una messa nella basilica di San Pietro, l'uso del termine "genocidio" a proposito della morte, nel 1915-'19, per volontà del Governo ottomano, di circa 1 milione e mezzo di armeni (tra i 200 e gli 800 mila secondo i turchi) era costato a Papa Francesco il 'congelamento', per circa 3 mesi, delle relazioni diplomatiche con Ankara. Ora, nella recente visita in Armenia, Papa Bergoglio a sorpresa ha pronunciato nuovamente la parola "genocidio" (inizialmente non prevista nel testo del suo discorso scritto) a proposito della grande 'mattanza' di armeni durante la 'Grande guerra'. L'irritazione di Ankara non si è fatta attendere, con l'intervento del vicepremier Nurettin Canikli, che ha definito apertamente i commenti del pontefice "osservazioni che non hanno alcun rapporto con la realtà". L'intervento del Papa, che ha precisato di aver incontrato anche il presidente dell'Azerbaigian, la repubblica ex-sovietica da più di vent'anni in tensione con l'Armenia per la questione del Nagorno-Karabakh - enclave armena all'interno del Paese non ancora riconosciuta come repubblica sul piano internazionale - rientrava, in realtà, in una linea spiccatamente 'wojtyliana'. Non solo in senso specifico, dato che Giovanni Paolo II, riferendosi allo sterminio armeno, a suo tempo aveva già parlato sia di "genocidio" - termine con più stretta valenza giuridica implicante, per l'autore del fatto, un obbligo di 'riparazione' previsto dal diritto internazionale - sia più genericamente di "grande male" - in armeno: "medz yeghern" - ma anche indirettamente: l'appello di Bergoglio ad Armenia, Azerbaigian e Turchia stessa per una rapida soluzione del conflitto sul Nagorno-Karabakh e il superamento degli antichi odi non era disgiunto dalla sincera ammissione, in stile appunto 'wojtyliano', delle responsabilità storiche della stessa Chiesa per aver 'benedetto', anche nel Caucaso, troppe armi protagoniste di troppe guerre. Proprio come per la 'Shoah', gli archivi vaticani giocano un ruolo chiave nell'esatta e dettagliata ricostruzione del genocidio: la Santa Sede, infatti, nel 2015 sembra aver terminato di riordinare e pubblicare lo sterminato materiale d'archivio dell'epoca (1914-1920), mettendolo a disposizione degli studiosi. Se l'operazione è stata fatta correttamente e senza omissioni (così come da tempo ci si augura per il materiale riguardante la 'Shoah' e dintorni), il grande quadro sia delle responsabilità turche (e indirettamente tedesche), sia del "silenzio degli Alleati occidentali" sul Medz Yeghern sarà quasi completo. Ma perchè, un secolo dopo i fatti, la Turchia di Erdogan si ostina a negare le responsabilità dell'Impero Ottomano nello sterminio degli armeni, sanzionando addirittura con un articolo del suo Codice penale qualsiasi riferimento in tal senso da parte dei mass-media turchi in quanto offesa all'identità nazionale? La questione non tira in 'ballo' solo responsabilità storico-politiche difficili da sostenere, né nasce - come si potrebbe pensare a prima vista - da cavilli di diritto costituzionale: la Turchia moderna, prima di Ataturk, poi dei suoi continuatori laico-massonico-militari e, infine, dell'ambiguo presidente Erdogan, non ha mai rinnegato, anzi ha difeso quasi con orgoglio, la continuità col suo passato imperiale. Tra l'altro, se un simile indirizzo di totale cesura col passato oggi prevalesse, sarebbe il 'cacio sui maccheroni' per gli storici 'revisionisti' di tutto il mondo: la Russia di Putin, applicando estensivamente il concetto di 'cesura' rispetto ai fatti del 1991, che videro il crollo dell'Urss, potrebbe lavarsi le mani dei massacri 'leninisti' e 'stalinisti'; a maggior ragione la Germania, che nel 1945 perse completamente territorio e potestà d'impero cessando temporaneamente di esistere persino come Stato, potrebbe fare lo stesso coi genocidi nazisti. E' francamente difficile sostenere che centinaia di migliaia di armeni persero la vita, un secolo fa, solo per gli stenti e il freddo patiti nelle marce forzate volute dai turchi - che spesso li accusavano di complicità coi nemici franco-inglesi - per trasferirli a oriente, nelle regioni più interne e desolate dell'Impero ottomano. Eppure, proprio questo è quanto tuttora continua ad affermare il Governo turco (chi scrive se lo sentì ripetere, due anni fa, da un alto funzionario dell'ambasciata turca a Roma: "Massima disponibilità nel mettere a disposizione di voi giornalisti e studiosi i documenti di quegli anni, purché non si parli di genocidio"...). A onor del vero, Erdogan - che il 24 aprile 2014, anniversario del Medz Yeghern, inviò le condoglianze ai nipoti delle vittime armene chiedendo di "ricordare quel doloroso periodo con una memoria giusta", aveva anche proposto a Yerevan d'istituire una commissione storica 'mista' turco-armena, per stabilire la verità, ma nulla si è mosso. In seguito, nell'aprile scorso, è uscito nelle sale turche 'Gli uccelli persi': in assoluto il primo film sul "grande male" prodotto, almeno parzialmente, dal Governo turco. Un'opera di due registi, l'armeno Perdeci e la turca Alyamac, incentrata sul contesto emotivo di quelle dolorose vicende, senza alcun preciso riferimento al quadro politico. Ai primi di giugno, com'è noto, il Bundestag tedesco ha approvato, pressoché all'unanimità, una risoluzione che parla chiaramente di "genocidio" a proposito del massacro degli armeni in quanto consistente minoranza cristiana dell'Impero ottomano invisa, tra fine '800 e primi del '900, ai turchi e agli stessi curdi, loro storici nemici, poiché detentrice - proprio come poi sarebbe stato per gli Ebrei in Germania - di gran parte del potere economico interno. Prevedibile la reazione di Ankara, che ha minacciato gravi ripercussioni nelle relazioni fra i due Paesi. Non va dimenticato, infatti, che proprio poche settimane prima Berlino e Ankara avevano firmato un patto che prevede la creazione, da parte turca, di speciali uffici per il riconoscimento e la selezione dei profughi per la Germania già sul suolo turco. In cambio, i tedeschi s'impegnano ad agevolare, entro il prossimo ottobre, la liberalizzazione nel rilascio dei visti europei ai cittadini turchi (come peraltro già previsto dall'accordo generale Ue-Turchia). La decisione del Bundestag, ufficialmente motivata dal bisogno etico di chiudere i conti col passato riconoscendo la complicità indiretta della Germania 'guglielmina', alleata della Turchia, nel Medz Yeghern, è stata in realtà anche una sorta di 'siluro' contro la politica di Angela Merkel e del ministro degli Esteri, il socialdemocratico Steinmeier (non a caso ambedue assenti il giorno della votazione presso il Bundestag). Secondo un recente sondaggio del mensile politico 'Cicero', ben due terzi degli elettori tedeschi non solo di destra radicale, quella di 'Alternative fur Deutschland', una sorta di 'Front National' teutonico, ma anche della stessa Csu, il Partito d'ispirazione cristiano-democratica dello scomparso leader Josef Strauss, che dai primi anni '60 governa a maggioranza assoluta la ricca Baviera, sarebbero contrari a un quarto mandato consecutivo di Angela Merkel. Ciò per dissensi non tanto sulla politica economico-sociale della Cancelliera (che pure ci sono), ma sulla politica per l'immigrazione di tutta la 'Grosse Koalition' composta da Cdu e Spd. Le tragiche vicende del popolo armeno di un secolo fa attendono ancora una doverosa 'chiusura dei conti' col passato e divengono parte di una complessa 'partita' diplomatica e risultano indegnamente 'risucchiate', in ultimo, nelle convulsioni di un'Unione europea sempre più divisa e incerta, in cui l'uscita della Gran Bretagna, com'era prevedibile, ha rafforzato proprio l'egemonia tedesca.


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