Chiara ScattoneL'ultima tornata elettorale è stata decisamente illuminante e disastrosa per il Pd nazionale: le amministrazioni governate fino a ieri si sono rivoltate, dimostrando un'insofferenza che soltanto in pochi comuni era conosciuta e controllata. In alcune città italiane, il ballottaggio ha provocato addirittura fenomeni di psicosi collettiva. A Ravenna, i più giovani non avevano alcuna memoria dell'ultima volta che si era andati a un ballottaggio, il primo dal 1946, avvenuto nel lontano 1993, dove si ritrovarono a contendersi la massima 'poltrona' di Palazzo Merlato lo storico antifascista Pier Paolo D'Attorre ed Ezio Fedele Brini, ingegnere, candidato con la lista civica 'Alleanza per Ravenna'. Il risultato fu 'scontato', con un 'misero' 55,92% per il Pds di D'attorre, che segnò una fase assai difficile per la sinistra cittadina, aprendo una ferita che solo 5 anni dopo venne rimarginata. Oggi, quella ferita sanguina di nuovo e il Pd cittadino, guidato dal neosindaco (e segretario provinciale), Michele De Pascale, ha superato con fatica il 50% + 1 dei voti. Facciamo un passo indietro e ampliamo i nostri orizzonti geografici. La mappa dell'Italia 'post' amministrative la dice lunga su come il Partito democratico locale abbia mal governato le città di cui era amministratore. Ravenna, in questo, ne è l'esempio più lampante e concreto: per chi non l'abbia mai visitata, l'antica capitale dell'Impero Romano d'Occidente, dei Bizantini e del mosaico classico e moderno è il capoluogo con la migliore qualità della vita in tutta Italia. Ma allora perché i cittadini hanno confermato con 'insofferenza' il candidato sindaco del Pd? Perché Michele De Pascale, nel corso dell'ultima campagna elettorale, ha sentito il bisogno di convocare in suo soccorso tutti i 'big' del Partito e del Governo nazionale, a cominciare dalla ministra Maria Elena Boschi, dal ministro Andrea Orlando, Pierluigi Bersani, il ministro Dario Franceschini, Debora Serracchiani e last but not least, Matteo Renzi? La verità è che il Partito democratico di Ravenna ha avuto paura non degli avversari, quanto di se stesso. Nei lunghissimi 44 anni passati a governare, la classe dirigente e politica locale ha dato vita a un sistema clientelare e di potere impressionante, riuscendo a ramificare le proprie attività 'familiari' in ogni aspetto della realtà sociale, culturale, economica, turistica, ambientale e sanitaria locale. Il comune di Ravenna, poco a poco, ha costruito un solido e intrecciato meccanismo di partecipazioni pubbliche in ogni strato cittadino, riuscendo a collocare, con un 'procedimento' familistico e 'relazionale', donne e uomini, amiche e parenti, conoscenti e fidanzati. La maggior parte delle realtà locali, pubbliche o private, devono la propria esistenza alla classe politica locale e alle politiche attuate in questi lunghi decenni ininterrotti di amministrazione. Un'assessore uscente (e forse già riconfermata dal sindaco De Pascale) recentemente illustrò questo sistema dichiarando senza remore che "le aziende private debbono sottostare alla governance pubblica", altrimenti sono fuori. Il libero mercato a Ravenna risulta 'sospeso'. La città dei mosaici è la palese dimostrazione di come la politica locale sia lontana dalle decisioni e della politica nazionale. Ravenna è una città meravigliosa, dove donne e uomini si spostano senza rischi in bicicletta; in cui genitori e bambini sono assistiti con un sistema di accesso alla scuola dell'infanzia e ai servizi di base completamente comunale e pubblico; dove la sanità è una realtà vicina alle persone e funziona, dove si percepisce, quel benessere 'laburista' e 'mittle-europeo' in alter parti d'Italia mai raggiunto o realizzato. Tuttavia, essa è anche una città chiusa alla meritocrazia e alla libertà d'impresa, imprigionata in un sistema completamente vincolante fondato sulla vicinanza familiare, amicale o di Partito. Lavori, guadagni e progetti, anche squisitamente culturali, solo se il Partito ti appoggia. Gli esempi sono molteplici e non è questa la sede per addentrarsi troppo nei dettagli, perché per noi Ravenna è solo un modello su cui avviare una riflessione più generale e porci una domanda: siamo certi che lì dove il Partito democratico vince 'di misura' si sia comportato bene negli scorsi anni? Siamo certi di dover misurare sconfitte o vittorie sempre e comunque su base nazionale? Molti di coloro che hanno scelto di non votare il Pd a Ravenna possiede la tessera ed è un elettore a livello nazionale del Partito. Le nostre città hanno bisogno di persone e non di 'personaggi' caricati ad arte per combattere un nemico immaginario, che non gli appartiene. Lasciamo perdere i comizi da 'talk show' e riportiamo la politica al livello che le compete e pensiamo a un superamento di quelle vecchie 'burocrazie' che ci affliggono ogni giorno. Diamo un'alternativa a chi se la merita, ma pensiamo anche che quando apriamo il portone di casa, il marciapiede che incontriamo è un bene comune e chi lo amministra, così come chi lo vive, deve riconoscerlo come tale.


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