Serena Di GiovanniSembra che il 2016 sia l'anno delle donne in politica: da Hillary Clinton negli Stati Uniti a Virginia Raggi a Roma, il genere femminile è prossimo a segnare una svolta storica nell'orizzonte geopolitico mondiale. Da Ninetta Bartoli, prima donna a diventare sindaco in Italia nel lontano 1946, molta strada è stata percorsa. Oggi, nel nostro Paese, 1053 comuni sono amministrati da donne: circa il 13% del totale. La popolazione italiana amministrata dal genere femminile supera i 5 milioni (8,63% della popolazione totale), con prevalenza nelle regioni del nord, dove si contano 728 municipi guidati dal 'gentil sesso'. Eppure, se andiamo a considerare la situazione globalmente, la parità tra maschi e femmine in politica è ancora un miraggio. La strada da compiere resta lunga, anche se la corsa di Virginia Raggi al Campidoglio potrebbe dare un segnale importante e innescare conseguenze favorevoli in tale processo. Per quanto emancipate e protagoniste, le nostre 'politiche', da destra a sinistra e oltre, sono ancora vittime di un certo 'maschilismo secolare', assai radicato nella mentalità italiana, che le preferirebbe a casa con la loro prole piuttosto che ai vertici della società. Le avvilenti considerazioni sulle 'mamme-sindache'; gli insulti volgari riferiti all'aspetto fisico di molte candidate; le vignette 'sessiste' della campagna referendaria, che invitava a 'trivellare' la sorella; per finire con l'invito alla terza carica dello Stato a "farsi curare, internare, mettere su un 'barcone' in senso contrario" costituiscono un triste e recente esempio. Ma dietro a tutto questo non si nasconde solamente il solito, vecchio, stereotipo della donna considerata 'incapace', sia nella sfera politica, sia nei ruoli decisionali. No: dietro simili considerazioni si nasconde una ben più ampia forma di sessismo, basata sulla presunta superiorità dell'uomo nei confronti della donna in più settori, ivi compreso quello lavorativo. Atteggiamenti di questo genere possono essere davvero pericolosi in un Paese in cui, secondo le statistiche, un terzo delle donne, nel corso della vita, subisce violenza, verbale o fisica. Fatti che finiscono inevitabilmente per alimentare e, in un certo senso, legittimare lo svilimento e la discriminazione del genere femminile nella società, nel mondo del lavoro, nelle istituzioni, nella vita politica, nei media. Bisogna, tuttavia, precisare che il 'Partito del sessismo' è trasversale e universale. E' un virus che, purtroppo, abbraccia tutti, non solo gli uomini, ma anche le donne. Anzi, basta farsi un giro nei social (facebook, twitter) per capire che i messaggi aggressivi e ingiuriosi nei confronti delle donne arrivano in egual misura da maschi e femmine. Il fenomeno delle 'Donne che odiano le donne', per parafrasare il titolo di un noto film tratto dall'omonimo best-seller di Stieg Larsson, è in preoccupante espansione. Un 'riflusso' studiato dalle migliori università del mondo, teso a indicare che 'qualcosa' non funziona in una società come la nostra, numericamente dominata dal 'gentil sesso'. Perché per le donne è così difficile raggiungere il potere? E, soprattutto, perché quando lo raggiungono si ostacolano, si avvelenano, si pugnalano l'una con l'altra? Perché, alla faccia della solidarietà femminile, ogni 'Cenerentola' è pronta a trasformarsi in una 'sorellastra'? Forse, il più acerrimo rivale di una donna non è un uomo, come spesso tendiamo a credere, ma proprio un'altra donna. Se Maria Elena Boschi viene insultata per la sua avvenenza, Giorgia Meloni per la sua gravidanza e Virginia Raggi per la sua "voce da gallina", ciò non avviene solo per colpa del genere maschile, ma da un'assenza di solidarietà e collaborazione tra le stesse donne, che oggi più che mai permettono, giustificano e alimentano simili offese.


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