Michele Di Muro'Quell'atroce notte di ottobre', presentato in questi giorni al Teatro Trastevere di Roma da Salvo Miraglia in compagnia di un nutrito gruppo di attori, è la ricostruzione, ben documentata, dell'amore di Luigi Pirandello per la propria 'musa' ispiratrice, Marta Abba, prim'attrice dei suoi migliori saggi teatrali. Il testo, come già detto, è ben documentato: l'opera di ricerca e di contestualizzazione storica risulta meticolosa ed encomiabile. Lo si percepisce anche dallo 'spessore' della rappresentazione, che poggia su fondamenta e citazioni ben precise. Il secondo punto a favore di questo lavoro sono alcuni momenti di ricostruzione dei sogni del grande scrittore siciliano, premio Nobel per la letteratura nel 1934: un evidente richiamo onirico a quei '6 personaggi in cerca d'autore' che, per anni, hanno ossessionato la mente e le notti 'pirandelliane'. Un modo pensato da Miraglia per richiamare quel 'teatro nel teatro' e quel 'relativismo psicologico' che rappresentarono la vera 'spina dorsale' culturale di questo magnifico drammaturgo agrigentino. Lo sfondo è quello dell'Italia degli anni '20, con un regime fascista ancora in fase di 'stabilizzazione', dunque non molto propenso a favorire i progetti di costituzione di un 'Teatro di Stato' proposti da Pirandello a Mussolini in più di qualche missiva. Il Duce, in questa fase, è in ben altre 'faccende' affaccendato. Dunque, non è ancora il Pirandello 'blasonato' e 'incensato' degli anni '30. E la stessa relazione con un'ancor giovane Marta Abba, interpretata sul palco da Giorgia Serrao, risente di attese e precarietà che non solo preoccupano i genitori e la sorella di lei, ma ben descrivono una fase storica piena di quelle incertezze che attraversarono l'intera cultura europea dopo la fine della prima guerra mondiale. Pirandello è già uno scrittore affermato: il suo 'Fu Mattìa Pascal' era riuscito ad aprirsi un varco verso il grande pubblico, non solo italiano, ma addirittura europeo. Tuttavia, il frammento preso in esame con intelligenza e pieno merito da Salvo Miraglia, ovvero quello 'nettunense' e, in seguito, 'berlinese' nei complicati anni della fragile Repubblica di Weimar, è rappresentativo del particolare 'snodo' psicologico di chi è tenuto a ripetersi ad altissimi livelli, dimostrando di saper rimanere sulla 'cresta dell'onda'. Tutti contenuti che giungono al pubblico con chiarezza, grazie a una regia scrupolosa e a una Serrao capace di vivacizzare e rianimare, qua e là, la rappresentazione, fornendole un certo 'ritmo'. Il momento di crisi creativa raggiunge il suo apice. E lo scrittore non sembra riuscire a 'doppiare' lo 'scoglio' delle sue difficoltà. Ma proprio quando tutto sembra perduto, attraverso un 'salto' storico viene riassunta tutta la seconda, splendida, fase di ricchezza creativa di Pirandello, che grazie al Nobel riesce, finalmente, a ottenere ascolto da Mussolini in merito ai suoi progetti culturali. Anche qui è leggibile, tra le righe, l'opportunismo del Duce, che all'improvviso ci tiene a far 'sfoggio' dello scrittore come 'frutto' di un'inesistente politica culturale del regime, che al contrario era stato capace di isolare i suoi più importanti ispiratori, Giovanni Gentile e lo stesso Gabriele D'Annunzio. Ma il percorso 'pirandelliano' era stato sofferto, irto di complessità, guadagnato parola per parola, pagina dopo pagina. Ecco dunque spiegata la sua 'fredda' adesione al fascismo in quanto dissimulazione di un'apoliticità richiamata spesso con orgoglio, mai dimentica delle difficoltà vissute nel decennio precedente. La 'piéce' si conclude con un'ormai matura Marta Abba, interpretata da una sorprendente Laura Troschel, che dopo una carriera da attrice di successo sui palcoscenici di Parigi, Berlino e Broadway, raccoglie, riordina e rilegge con malinconia l'epistolario amoroso intrattenuto con il grande autore, ormai scomparso. Una rappresentazione di spessore, insomma: lo ribadiamo senza incertezze o indulgenze di sorta.


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