Silvia MattinaIn principio era l'elioterapia degli antici egizi, che si appellavano alla divinità del sole per cercare benessere fisico e mentale. Oggi, il progresso tecnologico ha invece allontanato la società moderna dai benefici dei raggi solari. In un mondo continuamente connesso, si può ancora essere felici, come spiega il progetto 'PhotoTherapy-Let your art fly', della fotografa italiana Corinna Linzas, che ha deciso di utilizzare la nota 'app' Instagram, per pubblicare quotidianamente fotografie, accompagnate da pensieri scritti su di un palloncino rosso da far volare via. Il progetto non è finalizzato al solo scambio, ma i 'followers' possono partecipare attivamente, inviando il proprio messaggio da diffondere nel mondo quale liberazione dalle frustrazioni quotidiane, ma anche da tutti quei tormenti che ognuno di noi mantiene seppelliti dentro di sè. La fototerapia presentata da Corinna non ha alcun fondamento scientifico: non c'è nessuna intenzione di curare malattie cutanee, com'era stato fatto, invece, nel XIX secolo, dal medico siciliano Antonino Sciascia. Dalla 'terapia con la luce' si è passati a una sorta di processo democratico, meditativo, catartico e, soprattutto, attivo dell'utente, portato a selezionare e a scandagliare i propri dolori, al fine di renderli concreti in uno scritto di poche righe, da restituire alla libertà dell'infinito. L'intuizione di Corinna è comunque un'idea 'azzeccata': già nel dicembre del 2014, l'app fotografica è arrivata a 400 milioni di utenti, con la pubblicazione di 80 milioni di foto al giorno. Tali dati sottolineano il potere indiscusso dell'immagine. Una realtà che non è affatto da sottovalutare, così come non lo è il dato di fatto che le grandi multinazionali utilizzano sempre di più la 'Visual marketing', per riuscire a convincere con la potenza delle immagini un numero sempre maggiore di persone. In questa era ipertecnologica, l'immagine è parola: la sua potenza è antica, ma nella modernità essa è aumentata a dismisura, grazie alla facile diffusione degli apparati fotografici, ora integrati nel proprio dispositivo digitale e per effetto nella nostra quotidianità. In una società bulimica di hashtag, selfie e post bisogna non demonizzare tale nuova visione contemporanea della fotografia, bensì registrarne le veloci trasformazioni in relazione al rapporto con il presente e le nuove possibilità che offre il digitale. L'abbandono del classico 'rullino' e la nascita dei social network ha prodotto un'accelerazione temporale sulle modalità di diffusione delle immagini, prediliggendo l'istante virtuale alla trepidante e lunga attesa della stampa fotografica. L'urgenza è quella di condividere le proprie esperienze e di mostrare il proprio punto di vista nella routine giornaliera. Tra le conseguenze, evidente è l'invasione mediatica di fotografi e fotoreporter dilettanti e le sempre più diffuse figure di 'blogger' in diversi ambiti: turismo, ristorazione, viaggi e così via. Siamo passati dall'introversione di una comunicazione meditativa e creativa, alla estroversione mediatica rigettata in un flusso continuo, che partorisce un overdose di stimoli in un tempo ormai relativo. La pubblicazione delle foto ha tante sfaccettature psicologiche, legate all'intriseca consapevolezza di essere dei narcisisti ed esibizionisti - indipendentemente dall'età, dal livello sociale, culturale e dal sesso - alla volontà di condividere un paesaggio 'mozzafiato' quale 'fermo-immagine' dell'istante. Il campo è vario e, ovviamente, il cibo è tra i principali scatti: con 300 milioni di foto alimentari spicca la pizza quale soggetto più fotografato, con 17 milioni di hashtang. Tale successo ha una vera e propria definizione: il 'food porn'. E secondo la recente ricerca condotta presso la Brigham Young University, pubblicata sul Journal of consumer Psychology, tale moda inciderebbe sulla mancanza di appetito: la continua osservazione del cibo inibirebbe il cervello dal reale 'comsume', in quanto quell'esigenza risulta già appagata dall'assaggio virtuale. Capita, inoltre, di imbattersi in diverse tipologie di riproduzioni. E si possono ammirare foto che vanno dal sacro al profano. Non bisogna stupirsi se, da un lato, vi siano istituzioni museali, come gli Uffizi per esempio, che affidano a degli archeo-blogger il restyling della propria comunicazione museale o se, dall'altro, a vallette, attrici, soubrette e subrettine e modelle quali Valentina Vignali venga chiesto di 'posare' o, addirittura, girare una piccola 'sit-com' con il ragazzo di turno. Insomma, se ne cominciano a vedere di tutti i 'colori'. E non è necessario 'velare' la cosa con scopi sociali o filosofici: si sente l'esigenza di pubblicare foto, perché siamo in una società smisuratamente e sfacciatamente votata all'apparire, anche se tale narcisismo decreta, in un certo senso, la fine del buon gusto. Una caduta di stile ben rappresentata dalla nuova moda dei 'selfie' delle ex coppie: non essere più sposati diviene il pretesto per mostrarsi a tutti e, forse, riuscire a sdrammatizzare un momento doloroso come la fine di un amore. Il buon senso e la lunga e riflessiva attesa non sono più attuali: non è l'occhio con i suoi tempi a guardare il mondo, bensì l'attenzione è cadenzata solo dallo scatto fotografico del cellulare. Il palloncino rosso a forma di cuore di 'Let your art fly' può rappresentare, nella sua semplicità, un invito a utilizzare le nuove applicazioni quale momento di terapia svincolandoci dalle banali logiche di dipendenza dal medium fotografico, al fine di non ricercare l'ossessivo riconoscimento degli altri. Gli studi in pedagogia, filosofia e fotografia di Corinna Linzas hanno sicuramente giocato un ruolo importante nella creazione di tale progetto, che ha lo scopo di ricordare all'utente 2.0 che possiamo trascendere dai limiti umani e protendere verso l'infinito. Ciò può avvenire solo se ogni giorno si è pronti a lasciar andare una parte di noi stessi e ad accogliere il cambiamento quale nuova opportunità di vita attraverso l'immaginazione e il cuore, senza guardarsi indietro. In quest'ottica, il progetto della Linzas forse può ridare importanza a momenti di introspezione, non rivolgere le azioni e i pensieri con il solo fine di esternalizzarli, bensì affrontando i nostri 'scheletri interiori' e liberarcene una volta per tutte, riappropriandoci di una felicità che, in tal senso, diviene condivisione e non vuota esibizione.



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