Ennio TrinelliIn occasione della 'Giornata mondiale contro l'omofobia' del 17 maggio non può non risaltare la totale mancanza di un linguaggio comunicativo decente sulla questione. Alcuni esempi: agenzie e quotidiani, parlando del matrimonio tra il primo ministro lussemburghese Bettel e il suo compagno, celebrato il 15 maggio, scrivevano di "matrimonio gay", come se un 'negozio giuridico' potesse avere una sessualità. Alcuni organi d'informazione, all'interno della stessa notizia, ricordavano il matrimonio del'ex prima ministra islandese con la sua compagna, sottolineando che entrambe sono "lesbiche". Perché siamo a quel punto lì. Guardandoci intorno, vediamo che si parla di 'Teatro gay', 'Cinema gay', 'Letteratura gay'. Insomma, 'tutto gay', per celebrare categorie che non esistono, ma che hanno bisogno di essere identificate rapidamente, a fini meramente commerciali. Se anche l'associazionismo per i diritti delle persone omosessuali si omologa a quel tipo di comunicazione, pochissime sono quelle che affrontano il tema del linguaggio e della comunicazione in maniera intelligente e qualsiasi sforzo per raggiungere una vera uguaglianza di diritti sarà vano. Perché il linguaggio è 'figlio' del pregiudizio. E, per sradicare il pregiudizio, bisogna cambiare linguaggio.


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