L'autore del presente articolo è Professore di Diritto presso l’Università Nanterre di Parigi.

La situazione giuridica dei prigionieri catturati in Afghanistan dalle truppe statunitensi è al centro di un dibattito complicato dalle dichiarazioni di Washington e da una certa compiacenza internazionale in nome della lotta al terrorismo.
In effetti, secondo gli Stati Uniti, i detenuti trasferiti nella base militare di Guantanamo, sull'isola di Cuba, sono “combattenti illegali, che non hanno nessun diritto nell'ambito della Convenzione di Ginevra”.
In realtà, non ci sono dubbi sul fatto che la Convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929, rivista nel 1949, relativa al trattamento a cui sono sottoposti i prigionieri di guerra, dovrebbe essere applicata ai detenuti di Guantanamo. La Convenzione, accettata dagli Stati uniti, è valida “in caso di guerra dichiarata o in qualunque conflitto armato insorto tra due o più parti contraenti, anche se lo stato di guerra non è stato riconosciuto da una di esse”. La parola ‘guerra’ è stata esplicitamente sostituita dall'espressione ‘conflitto armato’; questa espressione più generale si applica evidentemente all'intervento statunitense in Afghanistan: secondo i lavori preparatori della Convenzione di Ginevra, qualunque scontro tra Stati che provochi l'intervento delle forze armate è un conflitto armato nel senso inteso dalla Convenzione.
Gli Stati uniti, incontestabilmente hanno intrapreso un'azione armata contro l'autorità di fatto in Afghanistan. La Convenzione deve essere applicata, qualunque sia la durata del conflitto, il suo carattere più o meno sanguinoso, l'importanza delle forze sul campo e la loro posizione giuridica. Concerne “i membri delle forze armate di una parte in conflitto, come i membri delle milizie e dei corpi di volontari che facciano parte di queste forze armate” catturati da uno dei belligeranti.
Questa ampia terminologia è stata scelta per evitare le ambiguità dovute alla diversa provenienza dei combattenti. I Taliban e i volontari dell'Afghanistan appartengono quindi chiaramente alla categoria dei prigionieri di guerra. La definizione di terroristi, invocata da Washington per qualificare alcuni detenuti, in particolare i membri di Al Qaeda, non è applicabile e la nozione di ‘combattente illegale’ è sconosciuta al diritto internazionale. Il principio è quello della presunzione che ogni individuo preso con le armi in mano è prigioniero di guerra, salvo prova contraria.
Ma solo una giurisdizione ufficiale potrebbe stabilire la posizione dell'accusato. Il trasferimento di prigionieri a Guantanamo aumenta la confusione giuridica sulla posizione dei detenuti. Secondo la Convenzione di Ginevra, “i prigionieri di guerra devono essere sempre trattati con umanità”, e “devono anche essere sempre protetti, in particolare contro qualsiasi atto di violenza o di intimidazione, contro gli insulti e la curiosità pubblica” (art. 13). I trasferimenti sono sottoposti ad eguali condizioni: “Il trasferimento dei prigionieri di guerra si effettuerà sempre con umanità e in condizioni che non dovranno essere meno favorevoli di quelle di cui godono nei loro spostamenti le truppe della Potenza detentrice» (art. 46). Arbitrio e confusione È d'obbligo constatare che il trattamento dei detenuti non corrisponde a queste esigenze. Il rifiuto di applicare la Convenzione conduce a una logica di assenza di diritto che permette, in particolare, alle autorità statunitensi di interrogare i prigionieri senza rispettare nessuna regola. In effetti, i prigionieri di guerra sono soltanto tenuti a declinare il loro nome, grado e reparto militare. Devono poi essere rilasciati e rimpatriati alla fine delle ostilità. La scelta del luogo di detenzione non è unicamente legata alla prossimità con il territorio degli Stati Uniti, ma anche, a quanto pare, al fatto che la base in questione non si trova sul suolo statunitense.
Secondo Washington, la Costituzione degli Stati Uniti non si applicherebbe qui. In questo modo vengono messe da parte le giurisdizioni di diritto comune, a vantaggio dei Tribunali militari. La scelta di Corti marziali permette così di evitare l'applicazione dei diritti di difesa garantiti dalla Costituzione statunitense. Secondo la Convenzione di Ginevra, i prigionieri hanno diritto a un processo giusto e leale, alla difesa e alla possibilità di fare appello. Ma il Tribunale militare previsto dall'amministrazione statunitense non ottempera a tali condizioni. Il Dipartimento di Stato - ed è un segno di confusione e di imbarazzo - ha dichiarato che oltre che da avvocati militari, gli accusati potranno essere difesi da avvocati civili, che le udienze potranno essere pubbliche se il top secret della difesa non è in causa, che la pena di morte potrà essere comminata soltanto all'unanimità e che, infine, potrebbe essere istituita una Commissione d'appello. Al di là di queste ambiguità, è facile constatare che gli Stati uniti non rispettano il diritto internazionale, né gli impegni presi nei confronti della Convenzione di Ginevra.



Articolo tratto dal numero del mese di aprile 2002 della rivista "Le Monde diplomatique"
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