Ilaria CordìA un'ora di treno da Roma, il mondo può cambiare: l'aria si gonfia di salsedine, il sole arriva fin dentro le ossa, i rumori della città diventano note melodiche, la molteplicità dei profumi riempie le narici. Il caffè diventa un tripudio di emozioni e le distanze non sembrano così insormontabili. Alzi gli occhi e vedi il cielo azzurro, limpido. Li abbassi e ascolti la tranquillità del mare. Il 'vecchio' Regno delle due Sicilie, mentre il resto della società italiana corre a duecento all'ora, è praticamente fermo. A livello economico, sociale e finanziario, il sud rimane sempre un passo indietro. E ciò che accade appena sotto il confine delle nostre regioni centrali non solo non diventa un problema nazionale, ma anzi viene accolto con rassegnazione, o come semplice motivo di arretratezza del Paese. Etichettare le persone con il termine 'napoletano' (che qui utilizziamo come esempio, ma che serve a indicare l'intera popolazione meridionale n.d.r.) può essere considerato un insulto razzista? La cosa che stupisce, però, è che sono gli stessi abitanti di queste 'terre dei fuochi' a mettere in evidenza la loro provenienza d'origine, quasi a volersi giustificare degli sbagli commessi. I recenti fatti di cronaca non aiutano a mutare i giudizi negativi dell'opinione pubblica. I continui macabri episodi che fanno 'accapponare' la pelle e che ti fanno pronunciare la frase: "Ma veramente possono succedere queste cose?" sono sintomi di un malessere specifico, che dovrebbe essere oggettivizzato per comprendere in profondità la situazione che si vive in alcune parti del nostro Paese. La bellezza del Mezzogiorno si perde quando si toccano argomenti scottanti, di difficile interpretazione. I due principali problemi che affliggono gli italiani del sud vertono intorno alla questione occupazionale e al servizio sanitario. Secondo il 'Rapporto Svimez 2014' sull'economia del Mezzogiorno, l'anno 2013 ha riportato una variazione percentuale in negativo del Prodotto interno lordo pari a 3,5 punti in meno rispetto all'economia del centro-nord. Un dato che rappresenta, inoltre, un decremento, rispetto al 2012, di un punto e mezzo: un tracollo che, in un solo anno, significa 'depressione'. Tale andamento è dovuto alle cattive performances dei due settori principali, che riportano un ribasso a dir poco eccessivo: quello industriale (-24,7%) e delle costruzioni edilizie (-35,3%). Il divario fra nord e sud con la crisi economica in sostanza si accentua, abbattendosi inesorabilmente sulla parte più debole del Paese: se le regioni settentrionali negli ultimi anni (2008-2013), dopo il crollo finanziario hanno cominciato a segnalare lievi cenni di ripresa, il meridione rimane stabilmente a tassi medi annui di variazione del Pil praticamente 'inchiodati'. Sempre sul finire dello scorso anno, l'Inps, l'Istat e il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali hanno presentato il 'Rapporto sulla coesione sociale'. Tale documento mette in evidenza il lavoro svolto nel nostro Paese e la sua collocazione in ambito europeo, quasi a voler anticipare l'impegno italiano nell'attuale semestre di presidenza Ue. Secondo questo Rapporto, che si compone di due volumi, il mercato del lavoro conta circa 22 milioni di occupati, mentre i disoccupati ammontano a ben 2 milioni 744 mila, ben 636 mila in più rispetto al 2011. A essere colpiti da questa 'non coesione' sono principalmente le fasce giovanili, dai 15 ai 25 anni, le donne e gli stranieri. La disoccupazione affligge tutto il Paese, ma principalmente il sud, con un calo  del 4% che è praticamente più del doppio di quello del nord-ovest (-1,7%) e del nord-est (-2,1%). Ma a preoccupare, purtroppo, non è solo l'ambito lavorativo: gli anni più recenti sono stati veramente tragici per la scuola e le università. Il rapporto percentuale tra maturati a una scuola superiore di secondo livello e gli iscritti all'università è sceso al 58,2% all'inizio dell'anno accademico 2011-2012. I giovani fra i 18 e 24 anni del Mezzogiorno vantano solo un diploma di scuola media inferiore e non stanno seguendo alcun corso di formazione successivo. La percentuale di coloro che stanno tentando una propria riqualificazione è ferma al 25,8%, ovvero poco più di un quarto del mondo giovanile meridionale. Fra questi, solo uno su 4 cerca veramente un'occupazione, mentre il 49,1% risulta economicamente inattivo. Alla luce di simili dati statistici abbiamo chiesto ad alcuni giovani meridionali un parere sulla condizione lavorativa che il sud offre.

Luigi, 26 anni, marittimo: "Un posto fisso? Non esiste più. Io ho scelto di navigare perché mi è sembrata l'unica strada concreta per realizzare qualcosa di buono senza dover ricorrere ad alcun tipo di raccomandazione ed evitare di rimanere deluso dai soliti favoritismi...".

Annamaria, 32 anni, commercialista (ha studiato a Napoli e oggi lavora in una delle isole del Golfo partenopeo): "Forse al Nord sarei riuscita a guadagnare di più e avrei avuto più opportunità. Ma la vera scelta, in tutto questo, è stata quella di non 'emigrare': qui ho una casa, lì avrei dovuto ricominciare da zero, a paertire dal dover rimediare un 'tetto sulla testa'. Qui ho le mie abitudini: cena alle 23.00, piuttosto che dire 'buongiorno' al gatto del vicino di casa: chissà se al nord avrei mai avuto l'occasione di sapere il nome del mio vicino. Insomma, per 'emigrare' devi essere proprio alla 'fame' o aspirare di guadagnare almeno 10 mila euro al mese, altrimenti non esiste né lavoro, né stipendio che valga la recisione delle proprie radici".

Paolo, 26 anni, studente (ha studiato a Bologna e poi a Barcellona): "Sono andato via perché all'epoca non vi erano università che mi permettessero di studiare Dams. La più vicina era a Roma, ma la capitale non mi è mai stata troppo simpatica...".

Davide, 26 anni, cuoco: "Oggi sono soddisfatto del mio lavoro, ma uno dei problemi che affliggono il sud sono quelli relativi ai contratti che vengono fatti in ambito lavorativo, da quello part-time a quello da stagisti. Ovviamente, più aumenta l'età lavorativa, ovvero i giovani che entrano troppo tardi sul mercato del lavoro, più aumenta l'età pensionabile. E se non si va in pensione, i giovani non possono entrare in questo mondo: è un circolo vizioso".

A preoccupare gli abitanti del Mezzogiorno non è solo la questione del lavoro, ma anche il problema sanitario, che sta diventando uno dei principali dilemmi. Secondo il Rapporto Istat 2013, le indagini sulle condizioni di salute della popolazione italiana presentano risultati tutto sommato positivi: lo scorso anno, il 70,4% della popolazione residente in Italia, secondo una ricerca multiscopo sulle famiglie ("Aspetti della vita quotidiana"), dichiara di possedere relativamente un buono stato di salute; il 74,2% sono uomini e 66,8% sono donne. A livello territoriale la percentuale di persone che stanno bene è più elevata al nord (71,9%), mentre il sud si stabilizza su un buon 68,8%, non lontano dall'Italia centrale, che registra il 69,8%. L'analisi ha messo in luce anche gli stili di vita condotti: i residenti del Mezzogiorno consumano principalmente il pranzo a casa (84,7%) rispetto agli italiani del centro (69,5%) e del nord (68,4%), un dato che dimostra la scarsa possibilità di spesa per consumi del Mezzogiorno. I meridionali considerano il pranzo come il pasto principale della giornata, ma la colazione, che qualsiasi medico nutrizionista e/o dietologo consigliano di fare, nel Mezzogiorno viene consumata solamente dal 76,2% della popolazione, rispetto all'82,5% del centro e l'81,2% del settentrione. Per quanto riguarda le condizioni sanitarie abbiamo provato a condurre una nostra piccola indagine presso un piccolo campione di abitanti originari del sud d'Italia.

Maria, 28 anni, infermiera: "Il servizio sanitario al nord è sicuramente migliore rispetto al Meridione, sebbene quest'ultimo non sia così distante. Il problema è come questo viene gestito. Sono andata a lavorare al nord perché dove abito non c'erano possibilità, o meglio, non ero 'abbastanza raccomandata'. Un giorno, quando le cose cambieranno, spero di riavvicinarmi alla mia terra".

Ciro, 34 anni, biologo: "Non conosco la sanità al nord. Posso esprimere un giudizio su quella del sud avendo anche svolto un tirocinio presso l'Azienda ospedaliera rilevanza nazionale 'Antonio Cardarelli' di Napoli. Al sud, il personale è efficiente e si sacrifica spesso alle emergenze. Il problema maggiore sono le strutture e i mezzi. Basti pensare che per un reparto con 7/8 medici all'opera vi è una sola stampante e ognuno di loro deve stampare come minimo 100 cartelle. La mia esperienza da ricoverato ha più o meno notato questa assenza di infrastrutture".

Chiara, 27 anni, tecnico di neurofisiopatologia: "Nell'ambito sanitario pubblico vi sono poche possibilità lavorative, soprattutto al sud ma anche al nord, soprattutto per chi ha una laurea specialistica come la mia. Per quanto riguarda la gestione delle strutture sanitarie, il settentrione presenta enti meglio gestiti, ma in linea di massima anche il meridione in molti casi non è da meno".

Il rapporto Svimez riporta, inoltre, che nel sud, durante il 2013, sono stati registrati più decessi che nascite: tale fatto è accaduto solo in concomitanza della Terza Guerra d'Indipendenza (1866) e della Prima Guerra Mondiale (1915-1918), eventi bellici durante i quali le nascite raggiunsero un minimo storico, ovvero solo 177 mila. Questo stravolgimento demografico porterebbe a una vera e propria 'debacle' del sud, con conseguenze disarmanti: nei prossimi 50 anni, il Mezzogiorno è destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti: un divario economico-demografico che potrebbe modificare le aspettative delle nuove generazioni sul territorio, provocando conseguenze sociali ed economiche insostenibili. Il nostro sud è dunque in pericolo. Tanto si attende e ci si prepara a una nuova eruzione del Vesuvio o dell'Etna, tanto poco ci si accorge che il danno irreparabile, in realtà, è già avvenuto.


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