Gaetano Massimo MacrìIn vista delle processioni autostradali di quegli italiani che, nei prossimi giorni, ‘sciameranno’ verso le vacanze estive, vogliamo richiamare ai lettori quelle cerimonie un po’ assurde che appartengono alla nostra religiosità popolare. Alla luce, soprattutto, di quanto accaduto recentemente in quel di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, in cui la contaminazione tra sacro e profano è trascesa a livelli stucchevoli, se non aberranti. Si tratta di un filone di religiosità che sembra non subire, più di tanto, gli influssi della modernità e della secolarizzazione, dimostrando l’esistenza di un misticismo contraddittorio, che cerca di tenere assieme peccato e redditudine, colpa e salvezza, spirito e materia. Non sempre le processioni religiose sono la manifestazione di una fede genuina o di una venerazione sentita profondamente verso un santo, bensì discendono dalla stravagante speranza di poter ricevere un aiuto dall’alto, una ‘grazia’ personale. Un modo di concepire la fede in cui il cattolico praticante considera inutile ogni sforzo personale di trasformazione della propria condizione e della stessa società che lo circonda, accettando supinamente la propria riduzione a ‘oggetto’ della volontà divina. Insomma, si tratta di un’idea piuttosto egoistica e terrena della fede, non così lontana da quelle società ‘teocratiche’ del medio ed estremo oriente che tanto spesso ci permettiamo di criticare. Ripercorriamo, dunque, i principali riti ‘tribali’ che caratterizzano la nostra penisola. C’era una volta, sempre in una chiesa della Calabria, una pietra detta 'del perdono': il brigante che vi avesse posato la mano non sarebbe potuto essere arrestato. Quel 'salvacondotto' divino valeva fintanto che la mano non fosse stata sollevata. Vi immaginate la scena da ‘guardie e ladri’, col brigante che fugge a toccare la pietra? Si trattava di una richiesta di perdono, un voler espiare i propri peccati durante un cammino. Partiamo da un esempio del genere per dire che l'Italia è piena di situazioni come quella appena descritta. Situazioni in cui il sacro e il profano si mescolano, in un continuo dialogo tra l'uomo e il divino. Le processioni, per esempio, cosa sono se non una relazione tra le due dimensioni? Religiose o pagane (e le prime in genere derivano dalle seconde) cambia poco: gli uomini si mettono in fila per chiedere aiuto o per chiedere perdono. La vita è già dura di suo. Il fallimento è dietro l'angolo e, allora, ecco che si finisce col chiedere l'intercessione dell’Onnipotente. L'Italia 'in processione' cela tutta una fragilità che prova a colmare con un mix tra magia e religione. A volte lo fa con scelte bizzarre, che tuttavia testimoniano come chi agisce di qua, sulla Terra, ha sempre bisogno di comunicare con il ‘sopra’. Un paganesimo che nemmeno la Chiesa ufficiale ha potuto eliminare. Anzi, è stata costretta a inglobarlo, purificandolo in alcuni aspetti. Alcune tradizioni, tuttavia, sembrano essere rimaste legate all'antico. Al punto da sembrare anacronistici rituali. Restano comunque una ‘chiave’ di lettura della fede popolare che, piaccia o meno, si esplica anche attraverso atti ritualistici, a volte più o meno eclatanti, per espiare i peccati. Insomma, un processo vero e proprio, col suo rito compiuto innanzi a una corte celeste e a tutti visibile. La processione: parteciparvi è perciò necessario. Al sud lo sanno anche i mafiosi, ahinoi (ma questa è un'altra storia). E chi non può essere presente? Sindaci zelanti hanno pensato di predisporre una diretta streaming. Ad Aprilia, in provincia di Latina, il primo cittadino, per la processione di San Michele Arcangelo, ha fatto installare una ‘web cam’ sul balcone del palazzo comunale. Chissà se ripeterà l'esperimento il prossimo settembre. Il fortissimo sentimento popolare che lega gli abitanti di Cutro, in provincia di Crotone, verso il loro crocifisso ligneo, ha indotto il sindaco a far filmare in diretta alcuni momenti salienti che precedono la processione del 'settennato'. La leggenda narra che l'autore del Cristo in croce, il Beato Umile da Petralía, si sia addormentato prima di scolpire la testa. Al risveglio, trasalì nel vederla già bella e fatta: "Dove mi hai visto per farmi così pietoso?", pare gli chiese il Cristo. "Se ti avessi visto, ti avrei fatto ancora più pietoso…", fu la risposta. Ebbene, ogni sette anni, da più di un secolo e mezzo, gli abitanti del 'paese della creta' attendono che il loro 'crocifisso di Cutro' esca dalla chiesa che lo custodisce, per portarlo in processione fino alla chiesa madre. Il momento in cui viene fatto scendere dalla nicchia è talmente solenne che vi partecipano solo alcuni privilegiati. Il pubblico può assistere da fuori, attraverso uno schermo che trasmette le immagini in diretta. La folla è enorme - giungono persino dagli Stati Uniti, magari ‘oriundi’ - e pronta a sventolare fazzoletti bianchi all'uscita della statua. Il portone si spalanca lentamente, tra i fuochi d'artificio. Così farà altrettanto quello dell'altra chiesa, per l'entrata. Il percorso della processione è, si badi bene, esattamente quello seguito per la prima volta oltre 150 anni or sono. Si rispetta sempre la tradizione religiosa, ma in maniera molto più movimentata. A Gangi, in Sicilia, per la festa dello Spirito Santo le statue delle varie chiese (circa 40 o 50) sono portate in processione e vengono fatte entrare di gran corsa nel santuario del paese, tante volte quanti sono i miracoli annunciati dai fedeli (a propria indiscrezione?). In pratica, una autentica prova di forza. Per gli amanti dei 'live show', a Sulmona (Aq) la Vergine, giunta in piazza Garibaldi dopo la processione, riconosciuto il Cristo risorto si spoglia del velo nero, mostrandone un altro verde sotto. Rincorre il figlio fino ad abbracciarlo (sono statue, ci vuole fantasia, ovviamente), tra gli applausi, le musiche e il volo di dodici colombe. Il nome dell'evento sembra la didascalia di un fotogramma: "Madonna che scappa in piazza". L'immaginazione popolare ha bisogno di una certa spettacolarizzazione. 'Vedere' in diretta coi propri occhi ciò che si tramanda a voce contribuisce, probabilmente, a mantenere vivo il sentimento dei fedeli, soprattutto quelli che non appartengono alla schiera degli assidui frequentatori della chiesa. Nella penisola sorrentina, per esempio, non è raro che tra gli incappucciati delle processioni pasquali ci siano uomini simili che, grazie all'anonimato, si immergono più volentieri nel lento flusso dei pellegrini in fila. In molti casi, l'organizzazione delle processioni è affidata alle varie confraternite. L'onore, piuttosto che l'onere, è elevato. Pertanto, l'impegno profuso risulta direttamente proporzionale. A Forio d'Ischia (Na), per esempio, si svolge un altro suggestivo incontro tra la Madonna e il figlio risorto. Ulteriori personaggi che partecipano alla scena sono: l'Angelo e San Giovanni. Il 'film' è piuttosto elaborato nel suo evolversi. A un certo punto, l'Angelo saluta il Cristo e si dirige da Maria e da San Giovanni. Confabulano qualcosa. Seguono attimi di silenzio, in cui ognuno può immaginarsi il dialogo tra i simulacri. Quindi, l'Angelo fa ritorno al Cristo. La scena si ripete in tutto tre volte. La terza è quella buona, in cui anche la Madonna si muove e, finalmente, scopre il figlio. Un vessillifero, sul finale, abbassa per tre volte lo stendardo. E bisogna fare attenzione a non fargli toccare terra, pena l'impossibilità di rifarlo l'anno successivo. Nell'Italia del nord, nel periodo pasquale le processioni hanno un sapore meno religioso. Il loro scopo è prettamente propiziatorio per l'arrivo della primavera imminente. Si svolgono, dunque, con la benedizione degli agnellini e l'avvio di alcune gare tra contrade. Tornando alle rievocazioni, esse non sono soltanto di carattere biblico. La storia passata rivive attraverso alcuni simboli di cui molti, ormai, ignorano il significato. È il caso delle crociate. Molte processioni rievocano quel periodo in cui il 'nemico' era rappresentato dall'Impero turco-ottomano: “Mamma li Turchi”! Basta recarsi in uno dei tanti borghi calabresi in estate, per assistere a quello che viene riconosciuto - chiamiamolo in italiano - come il "cammello di fuoco". Si tratta di un cammello costituito da una struttura in legno, sorretta da un uomo ("u cammearu") che danza al ritmo di una tarantella, in genere alla fine della processione. La particolarità dell'evento è data dal fatto che a quella struttura viene dato fuoco. Si inizia dalla coda roteante e poi, mano a mano che la musica aumenta il ritmo, anche il cammello si incendia nelle altre parti, fino a lanciare sempre più fuochi d'artificio. Il rito termina con la testa che esplode, a indicare la morte dell'animale, alias il “turco invasore”. È di buon auspicio che tutta l'operazione si svolga senza interruzioni (che il fuoco non si spenga…) e risulta tanto più efficace quanto più l'addetto a far muovere il cammello sappia dimenarsi al ritmo dei tamburi. Non a caso può capitare che, prima della 'recita', beva qualche sorso di alcol (si vocifera che spesso sia ubriaco). Anche a Firenze, un episodio simile avviene sempre innanzi alla processione che è terminata. Si chiama: "Scoppio del carro". Un carro trainato da buoi viene portato davanti al Duomo. Successivamente, si procede a incendiare un razzo (che rappresenta una colomba) il quale darà fuoco, a sua volta, ai fuochi d'artificio contenuti nel carro. “Prosit”! Non pensate subito a un brindisi: il termine è in uso presso una confraternita in Puglia, a Fragagnano, provincia di Taranto. Durante la processione per Sant'Antonio, i confratelli si fermano a ogni svolta di strada per guardare indietro verso il santo, per un inchino in sua devozione. Al momento del cambio dei portatori si grida: "Ave”! E il corteo risponde: "Prosit"! La devozione popolare si manifesta anche attraverso un simpatico manifesto affisso sul muro della chiesa, che recita: "Sant’Antonio re giocondo va nominato per tutto il mondo. Se lo tieni per tuo avvocato, da Sant’Antonio sarai aiutato". Di santi particolarmente amati ne abbiamo ovunque. Le 'Catia' o 'Katia', 'Katy', 'Ketty' e chi più ne ha più ne metta, di origini siciliane, sono consapevoli di trarre l'origine del nome dal suono 'anglofono' dal più italiano 'Agata'. Per i siculi fedeli, Sant'Agata è una festa da un milione di persone in processione. A Catania sono in tal numero, turisti compresi, che vi partecipano con il 'sacco' bianco, la ‘scurzitta’ nera (il cappello) e il cordone come cintura. Ricordano la camicia da notte con cui i catanesi scesero in strada per accogliere la santa il giorno del suo ritorno 'a casa' dopo esser stata trafugata a Costantinopoli. Nel momento finale della processione, al rientro in chiesa, sono tante le urla dei devoti che la salutano. Una processione sicuramente divertente, in grado di attirare l'attenzione soprattutto dei bambini, è quella dei 'giganti': stiamo parlando di Mata e Grifone, due pupazzi carta pestati, alti quasi dieci metri, portati in processione in Sicilia come in Calabria, al ritmo di tamburi battenti. Tra verità e leggende che si perdono nei secoli, i due innamorati (cattolica e bianca lei, Mata, saraceno e musulmano lui, Grifone) ricordano sempre quel periodo in cui il nostro Mediterraneo era solcato dagli Ottomani, vicini percepiti come grande minaccia per le nostre coste. Quella paura dello straniero invasore viene oggi esorcizzata nella processione ritmata. Potremmo continuare ancora per molto questo elenco di ‘riti tribali’. Quanto già descritto, però, è sufficiente a dimostrare che esiste una storia delle processioni che è storia sociale di un popolo. Di uomini che, proprio nel momento più difficile, sentono il bisogno di accostarsi al divino. Mai come in quei momenti, il cielo e la terra divengono parallele ravvicinate, forse un'immagine speculare. Purtroppo, anche gli ‘specchi’ possono avere qualche crepa.


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