Carla MartinoIl problema della droga e della disciplina del suo consumo va affrontato da due punti di vista: quello liberale del diritto di decidere della propria vita e, quindi, della propria salute, e quello sociale dei danni che derivano da un proibizionismo che, anziché aiutare l’individuo, danneggia la comunità.
Il problema della droga è stato finora affrontato con il proibizionismo, che costituisce soltanto un esempio di una diffusa concezione della legge incompatibile con le regole di una società libera. In una società libera, la legge deve infatti proteggere l’individuo dalla violenza degli altri, non da se stesso. Ognuno è titolare del diritto di decidere della sua vita e, nel rispetto di quella degli altri, può esercitarlo come meglio crede.
Dovere dello Stato è quello di informare l’opinione pubblica dei danni che possono derivare dall’uso e abuso di sostanze stupefacenti, ma se una persona, in piena consapevolezza di questi, decide, per svariati motivi - vuoi evasione a dolori, vuoi incapacità ad affrontare la realtà -, di drogarsi, lo Stato non può e non deve sostituirsi alla coscienza individuale. Oltretutto, a me sembra assai contraddittoria una certa forma di paternalismo autoritario da parte di chi afferma di credere nella democrazia: come è possibile sostenere concretamente che gli individui siano in grado di decidere, tramite il voto, il futuro della collettività nazionale e poi ritenerli incapaci di giudicare il destino della propria vita?
Il recente disegno di legge Fini inasprisce il proibizionismo, non facendo quasi più distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti ponendo sul medesimo piano l’uso indiscriminato di tutte le droghe e differenziando le sanzioni tra amministrative e penali semplicemente in base alla quantità trovata in possesso del trasgressore.
I provvedimenti per spaccio ed uso di hashish, extasy, cocaina ed eroina saranno gli stessi. Non mi sembra, questa, la corretta via per eliminare quello che è il vero problema della droga: il traffico e lo spaccio indiscriminato fuori dalle scuole, con reali danni per ragazzi inconsapevoli, e la conseguente criminalità che ci danneggia tutti.
Non mi risulta, altresì, che passate esperienze di inasprimento delle pene abbiano prodotto risultati particolarmente positivi. Si avranno dunque carceri ancora più piene di tossicodipendenti dove, peraltro, la droga circola liberamente, oppure un’opzione ipotetica ed utopistica di in un ricovero in centri di recupero. Ora, come ognuno sa, questi centri possono rivelarsi funzionali solo se scelti liberamente con la volontà di arrivare a disintossicarsi: non potrà essere interpretata, viceversa, come una scelta da compiere solo per evitare il carcere e ‘salvare’ il drogato?
A me sembra, perciò, che con questo tipo di legislazione repressiva i drogati staranno peggio di quanto starebbero se la droga non fosse illegale. Molti di essi muoiono perché la droga, preparata e ‘tagliata’ da criminali, è spesso nociva. I non drogati staranno peggio perché dovranno poi subire sia la piccola criminalità dei drogati, a causa dell’elevato prezzo della droga, sia i pericoli connessi all’esistenza di grandi organizzazioni criminali dotate di mezzi ingentissimi. In sostanza, bisognerebbe eliminare il profitto e il giro di affari enorme che gravita attorno alla droga illegale. Non vi è allora che un’unica alternativa: la legalizzazione della droga. Legalizzando i prodotti, infatti, i consumatori disporrebbero di tutele legali nei confronti dei prodotti nocivi, garanzie di cui oggi non possono ovviamente disporre poiché la produzione è illegale. Si eliminerebbero pertanto i ‘pushers’, con il risultato sicuro di un minor consumo di droga e, soprattutto, di una delinquenza meno diffusa.



Presidente Nazionale del Partito Liberale
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