Ilaria CordìDopo i risultati delle elezioni europee tenutesi in questi giorni, il popolo italiano è pronto a vedere chi e come li rappresenterà a Strasburgo e a Bruxelles. Sebbene la politica estera sia, da sempre, motivo di grande vanto italiano, per i rapporti che si sono istaurati con le grandi nazioni quali Germania, Francia e Inghilterra, il vero problema del nostro Paese è tutto ciò che avviene all’interno. Tra i comizi in piazza, facce ‘decrepite’ che non si decidono ad andare in pensione e giovani presidenti ‘bloccati’ da una ‘vecchia guardia’ che non demorde, gli italiani sono stanchi anche solo di sentire la parola ‘politica’. Purtroppo, però, le problematiche gravi riguardano tanti altri temi che affliggono la nostra società: pensiamo soltanto alla questione ‘giovani e università’ o all’invariabilità della polemica sulle carceri. Tali argomenti - e non solo - vengono affrontati egregiamente nel nuovo libro 'Pronti a cambiare', scritto da Luigi Iorio, giovane avvocato e dirigente socialista, pubblicato dalla storica casa editrice Mondoperaio, fondata da Pietro Nenni. Il saggio è diviso in due parti ben distinte: nella prima, si prevede un’analisi specifica intorno al mondo del lavoro, della globalizzazione, dei diritti civili e delle ‘emergenze parallele’ (rapporto tra giustizia e carceri); la seconda consiste in specifici approfondimenti che riportano i pareri di Susanna Camusso (Segretario generale della Cgil), di Andrea Orlando (ministro della Giustizia), di Riccardo Nencini (viceministro alle Infrastrutture), di Gianni Pittella (vicepresidente del Parlamento europeo), di Nichi Vendola (leader di Sinistra, Ecologia e Libertà), di Alessandro Cecchi Paone (candidatosi alle recenti elezioni europee con Forza Italia per la circoscrizione Sud), di Stefano Fassina (ex viceministro dell’Economia e delle Finanze) e, infine, dell’onorevole Marco Di Lello (presidente del Gruppo socialista alla Camera dei Deputati). Colpisce la frase di apertura, che si può trovare qualche pagina prima del sommario. L’autore dedica il suo nuovo libro: “A chi, nonostante tutto, continua a credere in un futuro migliore”. Credere ancora in una ripartenza italiana sembra essere ormai diventata un’utopia. Eppure, il popolo italiano ancora ci crede. Abbiamo dunque intervistato in prima persona l’autore di questo saggio per porgli alcune domande di approfondimento riguardo al ‘problema-Italia’.

Luigi Iorio, nella prima parte del suo libro, ‘Pronti a cambiare’, lei conduce un’analisi concettuale intorno al concetto di ‘Europa’. Afferma che le istituzioni europee si sono trovate impreparate di fronte alla crisi economica: può spiegare ai nostri lettori i motivi per cui, secondo lei, l’Unione europea ha incontrato difficoltà immani di fronte alle trasformazioni repentine avvenute su scala mondiale?
“Le profonde trasformazioni in corso su scala mondiale hanno determinato una nuova urgenza per l’Europa: quella di mettere in campo una più forte volontà comune nel procedere senza esitazioni sulla via dell’unità politica e dell’effettiva unione economica. Per essere competitivi al pari dei cosiddetti ‘BRICS’ (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) occorre che la piccola e antica Europa si attrezzi al più presto. Nei prossimi anni avremo bisogno di una nuova Europa, con un Governo unitario, che esprima una direzione politica più univoca possibile e di una banca centrale che dia riferimenti e, soprattutto, garanzie a tutti gli Stati membri, proprio come la ‘Federal Reserve’ che garantisce per tutti gli Stati uniti d’America. Ecco perché i risultati di queste elezioni europee risultano fondamentali: più si affermano le forze nazionaliste e antieuropeiste, meno spazio verrà dato alla costruzione di una nuova Europa”.

Giovani, futuro e università. Nel suo libro lei riporta una statistica condotta dal ‘Cun’ - Consiglio universitario nazionale - secondo la quale, negli ultimi anni, vi sono state 58 mila iscrizioni in meno rispetto agli anni scorsi. I motivi principali vedono protagonista la crisi attuale e la paura giovanile nei confronti del lavoro: come siamo arrivati a un tale ‘scempio’ e in che modo le nostre generazioni, attuali e future, potrebbero ricominciare a credere nel loro diritto allo studio?
“I motivi sono tanti e vengono da lontano. Il primo è legato alle pessime politiche poste in essere dai Governi degli anni novanta, che hanno contribuito a deflagrare il sistema istruzione in Italia. A questo va aggiunto un ‘ascensore’ sociale bloccato. Infatti, la mobilità sociale è intesa e misurata come la possibilità per una generazione di raggiungere posizioni sociali e occupazionali migliori rispetto a quella precedente. Questo è accaduto fino agli anni ‘80 del secolo scorso. Poi, più nulla. Da alcune recenti indagini sociali promosse dal ministero del Lavoro, per esempio, emerge come il 43.9% dei padri architetti ha un figlio laureato in architettura, il 42% di quelli laureati in giurisprudenza ha un figlio col medesimo titolo di studio, così come il 40.8% dei farmacisti ha figli appartenenti alla stessa categoria: percentuali simili si registrano anche tra le categorie di ingegneri e medici. Questi dati perduranti testimoniano come lo Stato faccia ancora poco per facilitare ‘l’ascensore sociale’, non riuscendo ad abbattere alcune barriere come precondizione al merito e all’inclusione. Questo, io penso, incide sulla sfiducia nei confronti del futuro da parte delle nuove generazioni”.

Il tema del lavoro come motivo di diseguaglianza. Nel suo libro riporta le ‘teorie’ della sindacalista italiana e Segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: può spiegare ai nostri lettori l’approccio migliore che bisognerebbe avere nei confronti delle occupazioni lavorative e le condizioni migliori affinché queste possano essere viste come “antidoto delle molteplicità degli egoismi sociali che caratterizzano quest’epoca liberista, frammentata e priva di futuro”?
“Il lavoro è la pietra miliare di uno Stato, un valore essenziale di coesione e solidarietà. E’ la chiave per sradicare le povertà, stabilizzare l’economia e consentire di vivere in pace ma, soprattutto, nella dignità. Tuttavia, negli ultimi anni un inarrestabile processo di globalizzazione e una crisi economica epocale hanno contribuito alla diffusione di una nuova consuetudine: quella della disoccupazione, del precariato, differentemente da ciò che accadeva nel secolo scorso, quando era costante il miglioramento del proprio ‘status’ familiare. Negli anni novanta del secolo scorso, precisamente nell’aprile del 1995, per arginare la disoccupazione venne introdotto il cosiddetto ‘pacchetto Treu’, un insieme di provvedimenti  di legge voluti dall’allora ministro del Lavoro, da cui prese il nome, con l’obiettivo di rendere più flessibile e inclusivo il mercato del lavoro. Una flessibilità che avrebbe dovuto apportare soluzioni ottimali e occupazione esponenziale, ma che presto trasformò la flessibilità in precarietà, lasciando una parte della forza lavoro ai margini, priva di tutele previdenziali e nell’impossibilità di progettare un futuro a medio-lungo termine. A tal proposito, come asserito spesso anche dalla Cgil, la prima cosa da fare è di ridisegnare le regole del mercato del lavoro, riducendo immediatamente le 46 tipologie di contrattualistica del lavoro, prevedendo dei salari più alti a chi non ha un contratto ‘certo’, come i lavoratori a tempo determinato che, annualmente, rischiano di tornare inoccupati e ‘per strada’. A tal proposito, credo anche che iniziare ad approfondire il tema del reddito minimo garantito sia un dovere morale per tutte le forze progressiste presenti in parlamento”.

La giustizia italiana: lenta, talvolta ingiusta e senza punti fermi. La legalità è diventata una barzelletta da bar. Sebbene secoli di Storia abbiano condotto a stilare regole ben precise, perché gli italiani non riescono a convivere sulla base di un principio di legalità? E tale problema, come influisce con il ‘problema delle carceri’ e del loro affollamento?
“La giustizia italiana è notoriamente lenta e costosa. All’eccessiva durata dei processi va sommata una condizione carceraria ormai al collasso. Dovremmo ripartire, dunque, da una ‘Costituente della giustizia’, per ricostruire un ‘sistema’ che ponga in prima linea le esigenze dei cittadini riformando, per esempio, parte del processo civile e di quello penale, dando cioè priorità ad alcune tipologie di leggi, quali quelle contro la corruzione, il falso in bilancio, l’auto-riciclaggio e irrobustendo la tutela di alcuni diritti individuali fondamentali con l’introduzione del reato di tortura, leggi in favore dei rifugiati politici, contro lo sfruttamento dei migranti. In tempi passati, la questione giustizia è stata spesso affrontata, erroneamente, in termini ideologici. Eppure, è talmente un’esigenza di civiltà che non dovrebbe configurarsi più come un tema di scontro politico. Il problema del sovraffollamento carcerario, inoltre, non è solo un problema morale e sociale per la nostra democrazia. Nella sostanza, è strettamente interconnesso alla tematica della legalità: è una contraddizione far vivere chi non ha recepito il senso di legalità in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto attuato e vissuto. Il nostro è un Paese con un sistema carcerario caratterizzato da una strutturale carenza di edifici adeguati: oltre la metà delle carceri italiane sono state costruite nei primi anni del novecento. In esse sopravvive una popolazione di oltre 60 mila detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 47.708 mila posti nelle 206 prigioni nazionali. Numeri che testimoniano non un semplice disagio, ma una drammatica tragedia sociale. Occorrerebbe, in primo luogo, trovare fondi da destinare non alla costruzione di nuovi istituti penitenziari, ma alla riapertura o alla riqualificazione, di quelli già esistenti. Per quanto riguarda l’individuazione delle risorse, il ministero della Giustizia ha più volte fatto cenno, in passato, alla possibilità di attingere ai fondi della Cassa delle Ammende. In secondo luogo, dal punto di vista giuridico e preventivo, è necessaria una riforma della giustizia penale: è infatti auspicabile una riduzione delle misure cautelari in carcere, una maggior implementazione degli arresti domiciliari nel caso di reati minori o di soggetti non socialmente pericolosi e la depenalizzazione di alcuni reati del nostro codice penale, come raccomandato dal Consiglio d’Europa”.

Quell’Italia che vorrei: sembra una mera utopia ‘campanelliana’: da dove bisogna partire per risollevare le sorti del nostro Paese?
“Ripartire subito: pronti a cambiare! Infatti, della celerità con il quale il tempo passa, dello scarto tra l'avanzamento di una società che produce contenuti e nuovo senso comune e il deficit di rappresentanza politica, nessuno sembra accorgersene. Non la destra, sempre più impegnata a scindersi e moltiplicarsi; e neppure la sinistra, impegnata a reinventarsi in nuovi soggetti politici che nulla hanno a che fare con i Partiti socialisti e socialdemocratici europei. È questo, invece, il tempo delle scelte, il tempo del ritorno a una politica forte, che sappia creare gli spazi di progettualità e di vita collettiva, per ricercare un modello di sviluppo sostenibile e compatibile con il mutamento sociale. È il tempo, per la sinistra, di ritrovare coraggio, di riappropriarsi della sua ‘mission’ originaria, ultracentenaria e internazionalista. L’obiettivo è quello di ricercare soluzioni condivise, per il miglioramento del ‘sistema-Italia’, superando definitivamente le ricette neoliberiste, alla radice della desertificazione socioeconomica. Questa è l’Italia che vorrei: l’approdo deve essere una nuova sinistra di governo costruita partendo, non come accaduto in passato, dall’assemblaggio di storie politiche culturalmente distanti tra loro, ma da un comune bagaglio ideale in quanto ‘collante’ di un progetto innovativo. Per un'Italia giusta, solidale, moderna: dunque progressista”.


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