Gaetano Massimo MacrìLa fotografia che emerge dalle ultime indagini sulla lettura di libri in Italia assomiglia a un puzzle mal combinato, privo dei pezzi principali: si legge di più al nord, tra le donne e le persone con più titoli di studio. L’acquisto riguarda soprattutto titoli di fascia di prezzo economica (entro i 10 euro) e, in generale, romanzi e racconti. Ma cosa leggono, a conti fatti, gli italiani? Abbiamo osservato le varie ‘classifiche’ e siamo andati in giro a chiedere l’opinione della gente, cercando di capire soprattutto due questioni: il fattore che determina la scelta di acquisto e quello che, invece, la frena

Il migliore investimento, ha detto qualcuno, è quello che facciamo su noi stessi. Leggere libri, dunque, sarebbe il miglior modo per spendere il nostro tempo e il nostro denaro. Le librerie delle grandi catene, apparentemente sembrano pullulare di gente, mentre quelle piccole e indipendenti stentano, mentre molte hanno già chiuso i battenti. Eppure, il lettore italiano non è un divoratore di libri. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili, il 53,2% della popolazione non ha letto neanche un libro nell’ultimo anno (partendo dai 12 mesi precedenti l’intervista). Una triste realtà, considerando che tutte le persone di successo sono, invece, avidi lettori. Esiste, infatti, una relazione precisa, che pochi, forse, conoscono, tra il benessere economico di un Paese e la percentuale di lettori dello stesso. Tale relazione non si riferisce al fatto che il libro sia anche una industria, per cui più libri si comprano, più florida sarà quell’industria. La cultura del libro è una formidabile fonte per lo sviluppo di idee, dunque di progresso sociale ed economico. La lettura, diciamolo a chiare lettere, crea progresso. La crescita economica lievita tra le pagine di romanzi, saggi, libelli, quotidiani, composizioni in versi e quant’altro. La enorme mole di rilevazioni statistiche consultabili sull’argomento ‘lettura’ ci fornisce, tuttavia, un quadro non molto roseo: sorvolando, per il momento, sul cosa si legga in Italia, i dati dicono che pratichiamo poco questa abitudine. L’ultima indagine svolta dall’Istat ha preso in considerazione, come periodo di riferimento, gli anni 2010-2011. I risultati finali, resi disponibili soltanto oggi, confermano che le donne sono lettrici più assidue degli uomini. Il 51,6% del gentil sesso ha letto almeno un libro, contro il 38,5 degli uomini. Le differenze di genere si mantengono in tutte le fasce d’età considerate. In particolare, la forbice aumenta tra i 15 e i 17 anni, dove le lettrici toccano quota 73,2% contro il 44,5% dei maschietti. Le distanze si colmano con l’età: fino, praticamente, ad eguagliarsi oltre i 75, con un ampio 22% per ambo i sessi. Come è facilmente intuibile, leggono di più coloro che sono in possesso di alti titoli di studio o svolgono professioni di un certo ‘rango’: laureati, dirigenti, imprenditori, liberi professionisti. Seguono, poi, gli studenti, ma con uno scarto considerevole tra chi possiede la licenza elementare (27,9%) media (38,5%) e diploma (58,4%). Il contesto familiare, poi, è in grado di offrire ulteriori opportunità di lettura. Se leggono anche i genitori, infatti, il popolo di giovani lettori (6-14 anni) aumenta (72%) fino a scendere radicalmente (39%) nel caso opposto. Una curiosità: influisce di più la madre che il padre ‘lettore’ (64,5% e 60,7%). Parlando di aree geografiche, il centro e il nord sono i ‘contenitori’ a maggiore capienza di lettori, con il 53% e il 48%. Maglia nera per il sud con il 34,5%. La regione più ‘colta’ in assoluto è il Trentino (58,3%); quella più povera è la Campania (29,8%). L’unica eccezione nell’area meridionale è la Sardegna, che con il 46,7% è anche al di sopra della media nazionale. Altro dato che non sorprende è quello legato alla urbanizzazione: i lettori sono più fervidi nei grandi centri e diminuiscono mano a mano che si passa ai comuni fino a 2000 abitanti. Roma, Milano, Torino, Bologna, come tutte le metropoli, si osserverà, possiedono più librerie di Calatafimi ed è anche ovvio che sia così. Per cui il dato, anzi, molti dati Istat, per la verità, andrebbero messi in relazione con alcune variabili. Ma il punto, ora, è un altro. Nelle grandi città, se da un lato esiste un maggior numero di librerie in grado di rispondere a una domanda necessariamente più forte, non è sempre detto che i potenziali lettori ‘metropolitani’ siano invogliati ad acquistare meglio di altri o, spesso, siano informati male e consigliati peggio. Cerchiamo di capire. I libri si comprano in libreria. Il luogo deputato da sempre alla ricerca, l’informazione e l’acquisto di un libro è sempre stato quello. Ora, tralasciando anche la possibilità di acquistare online, negli ultimi anni registriamo una radicale trasformazione delle librerie in veri e propri ‘centri commerciali’ del libro. Nei grossi centri urbani, ormai, Feltrinelli, Mondadori, Mel Bookstore, Arion, per citarne alcune, hanno abbandonato la veste della semplice libreria. Il cliente-acquirente-lettore è un ‘visitatore’. Termine davvero inaccostabile a chi ama la lettura. Ma a ben vedere, oggi è molto più azzeccato. Il ‘visitatore’, infatti, una volta varcata la soglia, entra in un sistema molto simile a quello di un supermercato del libro & co. Tutto è scientificamente diviso, separato e scandito in settori contraddistinti da cartelli appesi o posti in punti strategici, come fossimo alla Coin. Impossibile perdersi in quel marasma. Semmai ci si confonde. Basta solo pazientare, passeggiare e leggere bene. Alla fine troveremo per forza ciò che ci serve. Di solito, in bella mostra, se proprio non abbiamo idea di cosa acquistare, troviamo i 10 libri della classifica nazionale (vai a capire poi sulla base di quali dati), contrastati dalle 10 pile di libri più letti nella catena di librerie in questione. Immancabili, ovviamente, i ‘consigli’ per gli acquisti, tanto per ricordarci che, appunto, non è che siamo capitati in un luogo differente da un centro commerciale. E per finire, il ‘visitatore’, non può non scorgere il reparto CD/DVD, quello dedicato ai ‘GAMES’, a volte anche alla musica nel senso degli strumenti musicali. Qualcuno, così, si attarda ad ascoltare un brano nei punti che consentono la riproduzione breve di un cd. Qualcun altro si incanta tra la miriade di agende, penne e altri accessori curiosi (e cari) del reparto ‘cartolibreria’. I più chic, invece, si accomodano al bar. E si, le moderne librerie che si rispettino possiedono sempre un piano superiore dotato di bar per un appuntamento di lavoro, una sosta ristoratrice per le membra stanche per il continuo girovagare nei negozi del centro, prima, e tra i reparti di libri, film, telefilm, cd, dvd, dopo. Le moderne catene di librerie tutto sono, fuorché librerie in senso stretto. Hanno perso di vista l’oggetto della loro esistenza, il libro, sacrificandolo al ‘mercato’. Il lettore medio, quello non attento alle ultime novità editoriali, ai vincitori dei vari premi nazionali e regionali, quello che i ‘classici’ li ha lasciati volentieri sui banchi del liceo, entrando in un ‘book store’, è mefistofelicamente sovraeccitato da decine di messaggi che ‘non’ riguardano i libri. Entra ‘per fare un giro’, magari per battere la noiosa attesa della moglie intenta a far shopping. Non ha intenzione di acquistare, poi, però, scorge –non potrebbe essere altrimenti- un film, l’intera prima stagione di un telefilm che ha tanto desiderato vedere e, con contentezza, lo acquista, uscendo soddisfatto dalla libreria, non dal negozio di home video. Il lettore medio non sa cosa leggere. Deve essere sempre ‘etero diretto’. Per questo, varcando la soglia di una Feltrinelli, è come un pesce che rischia di abboccare a molti ami. Ed è cosi anche con la vendita dei libri. Le classifiche parlano chiaro. Ci sono autori, e non vogliamo esprimere giudizi di merito o demerito, che entrano sempre e comunque nelle ‘top ten’ letterarie degli italiani. I romanzi di Wilbur Smith, piuttosto che di Camilleri, Susanna Tamaro o John Grisham, conquistano sempre i primi posti. Poi ci sono gli autori ‘simpatici’, i ‘non professionisti’, alla Fabio Volo, per intenderci. Non mancano, per contro, quelli sempre ‘simpatici’, ma che scrivono anche per campare: Stefano Benni, il giornalista Severgnini. La saggistica è sempre ben rappresentata da sportivi o ex tali, che, chissà perché, a un certo punto decidono si scrivere la loro vita o di raccontare barzellette. Totti, Del Piero, il tennista Agassi, scalano le vette e salgono sui primi gradini del podio con una facilità che si direbbe ‘innata’. Tra i libri di cucina spopolano gli chef di rango che quotidianamente mostrano il viso (e non soltanto le ricette) in TV. I lettori italiani, a parte quelli ‘assidui’, hanno un ventaglio di scelte piuttosto ristretto, complice la loro scarsa attitudine alla lettura, ma complice anche un’offerta mal proposta. Al di là delle classifiche, tutte sempre noiosamente simili nel tempo, abbiamo chiesto in giro, ascoltando la voce della gente. E abbiamo percepito un vago interesse per il libro, quando piuttosto una confusione in cui è abbandonato il lettore. C’è chi, come Leonora, 30 anni, sommelier, non entra spesso in libreria, “ma quando lo faccio è per secondi fini. Adoro il reparto di cartolibreria. Però, mi piace girare per la Feltrinelli, anche se trovo molta dispersione, troppo di tutto”. E c’è chi, invece, come Davide, che nonostante la sua giovane età, 20 anni, divora “tre libri a settimana. Mi piace il romanzo ottocentesco. L’ultimo libro che ho letto è ‘I falsari’ di Andres Gide”. Anche lui, lettore accanito, preferisce alla grande libreria, quella a misura d’uomo: “Trovo troppo commerciale la Feltrinelli, anche se trovi tutto. Preferisco la piccola libreria, per il rapporto personale. Alla Feltrinelli devi indicare i dati precisi per avere info. So cosa voglio. Evito i consigli per gli acquisti”. Anche Carla, amante dei classici della letteratura contemporanea, pur sapendo cosa vuole, e, quindi, perfettamente in grado di entrare in libreria e muoversi da sola, percepisce una certa confusione: “Noto spesso che molti gironzolano senza comprare. Devono passare il tempo. E poi non c’è molto aiuto, credo”. Già, l’aiuto. Il caro vecchio libraio, il mentore di tutti gli amanti del libro. Abbiamo provato un esperimento: ci siamo recati in alcune librerie di catene, chiedendo consigli di lettura, dopo aver fornito all’addetto alcune indicazioni circa i nostri gusti. Bene, in tutti i casi la risposta è stata pressappoco questa: “Potrebbe leggere questo...”. E dopo un paio di alternative, il tempo a nostra disposizione era finito. Altri clienti attendevano nervosi di essere serviti. Serviti di cosa, poi? Mica siamo in fila a mensa? Stando così le cose, non ci meravigliamo che l’Aie (Associazione italiana editori), nel ‘Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2012’, registri un segno meno sul fatturato complessivo del 2011, con una flessione del 4,6%. Secondo questo rapporto, le librerie di catena hanno superato quelle piccole e indipendenti. Nonostante nel 2012 non siano state immuni da un calo generale di vendita, sono salite al 41%, contro il 37% delle altre. Eppure non dimentichiamo che in Italia (Fonte: AIE), i grandi gruppi editoriali coprono il 13,6% dell’offerta pubblicata. La piccola e media editoria copre ben l’80,4%.  A conti fatti, a noi pare che il sistema di vendita dei libri in Italia sia come un serpente che si morde la coda. Da un lato, abbiamo il lettore che stenta nell’acquisto. I motivi saranno reconditi, culturalmente intrinseci. Germania, Francia e Spagna leggono più di noi e lo spazio per un’analisi dei motivi è affollato dalle opinioni di esperti da anni. Senza che nulla cambi. L’unica risposta data da chi i libri li diffonde, le librerie, consiste di attirare gente con altro materiale che funga da specchietto per le allodole. L’importante è che entri, il lettore, poi, si spera, qualcosa comprerà. Ma il punto è proprio questo: il lettore acquista poco. Al di là, ripetiamolo, di fattori culturali propri del nostro Paese, le condizioni in cui avviene l’acquisto di un libro non invogliano affatto. Abbiamo abbellito le nostre librerie di ‘cinciscaglie’ buone soprattutto per chi di libri non vuole sentirne parlare. Poi, per carità, altrove questi ‘supermercati’ di romanzi e affini funzionano benissimo. L’ Italia, però, è un Paese strano: una volta era fatto di santi, ‘poeti’ e navigatori. Una volta, forse.





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