Ilaria CordìIn un mondo in piena crisi economica, la Cina tenta di conquistare il primato mondiale di super potenza. Anche se impegnata in conflitti interni e oltreoceano, la sua ascesa è un continuo progresso. Ma vi sono ancora alcune ‘postille’ da dover risanare. Forse, siamo di fronte a uno dei più grandi controsensi della storia mondiale: essa detiene il primato di Paese più popolato al mondo e di Stato più industrializzato, eppure il suo continuo sviluppo deve fare i conti con una mentalità ancora troppo legata a tradizioni secolari, talvolta esagerate. Per impedire il fortissimo incremento della popolazione, che genera problemi da un punto di vista economico, finanziario e sociale, negli anni ’70 del secolo scorso entrò in vigore la ‘legge del figlio unico’. Tale norma obbliga ogni famiglia a mettere al mondo un solo bambino e, se disgraziatamente la donna dovesse rimanere incinta una seconda volta, essa è obbligata a compiere un aborto, a meno che il secondogenito non sia di sesso femminile. In sostanza, il Partito comunista cinese obbliga le proprie donne a perdere il figlio che portano in grembo per mantenere un equilibro e scongiurare la sovrappopolazione nel Paese. Ovviamente, la donna non può né ribattere, né ‘urlare’ i suoi diritti di madre, poiché il corpo femminile “appartiene allo Stato”. Dagli anni ’70 a oggi sono state impedite circa 400 milioni di nascite, un vero e proprio ‘genocidio prenatale’. La famiglia cerca di opporsi a questa legge, ma con pochi risultati, poiché il ribellarsi significherebbe una multa pari a 10 volte lo stipendio del marito o, in casi irreparabili, la perdita della casa. Reggie Littlejohn, fondatrice del ‘Women’s rights without frontiers’, lotta continuamente contro questa tortura nei confronti delle donne cinesi, affermando che ciò che stanno facendo è “un crimine contro l’umanità” e che ogni qualvolta avviene un aborto o una sterilizzazione, la donna subisce una vera e propria mutilazione, sia fisica, sia morale. Nel frattempo, diminuisce l’incremento delle nascite, ma aumenta l’età pensionistica. He Ping, ricercatore dell’Istituto nazionale di sicurezza sociale, annuncia che la pensione per i ‘signori’ e le ‘signore’ cinesi si è alzata di almeno 5 anni ciascuno. La notizia è apparsa su ‘163.com’, uno dei portali di informazione più seguito in Cina. Immediatamente, il popolo si è mostrato contrariato, in quanto l’aumentare dell’età pensionabile significa togliere posti di lavoro ai giovani disoccupati, i quali oscillano tra i 26 e i 30 milioni. Ma le previsioni all’orizzonte non sono poi così rosee per il gigante orientale: nell’anno venturo, la Cina sarà costretta ad affrontare innumerevoli domande di pensionamento che, assieme all’aumentare della durata della vita, si tradurranno in una pressione economica di altissimo livello. Il nuovo sistema previdenziale, momentaneamente, riguarda solo il settore delle imprese private. In ogni caso, deleteria si è dimostrata la politica del ‘figlio unico’, la quale ha portato a uno squilibrio demografico che sta incidendo notevolmente sull’economia del Paese, portandola verso segnali di iniziale cedimento. La situazione del traffico, per esempio, è ormai ingestibile: persino nelle città capoluoghi di provincia, tipo Xi’an, gli ingorghi sono diventati all’ordine del giorno. Perciò l’amministrazione della città sub-provinciale, storicamente famosa per le statuine di terracotta, ha ritirato fuori una vecchia proposta di legge per limitare il numero delle auto in circolazione. A Pechino, dal gennaio 2011, immatricolare una macchina è diventato, metaforicamente, una scommessa alla lotteria, in quanto le licenze vengono, semplicemente, sorteggiate. Tanto che è stato posto un ‘tetto’ massimo di circa 240 mila immatricolazioni, ovvero non più di 20 mila autovetture al mese. Talvolta, al fine di ottenere un’autorizzazione per la licenza, il cittadino di Pechino è costretto ad aspettare persino un anno e mezzo. E, nella metropoli più capitalista del colosso orientale, Shangai, si utilizza il metodo dell’asta: una targa viene a costare circa 60 mila yuan (circa 7.500 euro). Dunque, il colosso cinese si trova a combattere contro lo spettro di un possibile crollo economico: i comportamenti ottenuti, sia in ambito esterno, sia interno, stanno iniziando a ‘dar fastidio’ alle potenze occidentali. Gli Usa, negli ultimi mesi, hanno rafforzando le loro relazioni con i Paesi confinanti della Cina, quali il Giappone e l’India, accusando Pechino di mantenere la propria moneta (lo yuan) sottovalutata così da ottenere maggiori vantaggi nella concorrenza economica sui mercati internazionali. In ragione di ciò, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha vietato le operazioni di acquisto da parte dei cinesi di quattro centrali eoliche presenti sul suolo americano nei pressi di una base della Marina, utilizzata per testare dei droni senza pilota e in cui alcuni jet effettuano manovre di addestramento ad altissima velocità. La decisione pare dovuta anche al fatto che è stata recentemente confermata da Washington la notizia di un attacco ‘hacker’, proveniente, con tutta probabilità, proprio dalla Cina, nei confronti del suo sistema informatico di Difesa presso la ‘White House’. Qualcuno ha puntando il dito proprio verso l’amministrazione di Obama per non aver tenuto sufficientemente in conto l’eventualità di possibili attacchi informatici da parte di Pechino. Di contorno a tali ‘frizioni’ è sorta inoltre una vera e propria disputa tra Cina e Giappone per la sovranità delle isole Diaoyu  - conosciute anche con il nome di Senkaku - geograficamente a ‘mezza strada’ tra i due Stati. Gli Usa hanno deciso di rimanere ai margini della ‘querelle’, ma in caso di un’imminente belligeranza tra Tokio e Pechino, Washington dovrà per forza prendere le parti del Giappone, in base a quanto stabilisce l’articolo 5 del ‘Trattato bilaterale di sicurezza’ in cui gli Usa hanno garantito di fornire assistenza al Paese del ‘sol levante’. Ovviamente, Washington conta di mantenere uno ‘status’ di pace, così da poter svolgere un ruolo di mediazione e continuare a perseguire i propri interessi, economici e militari, in ambedue i Paesi orientali.


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Roberto - Roma - Mail - martedi 30 ottobre 2012 15.55
Ottimo articolo, degno della vostra testata....


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