Susanna SchimpernaBasta vedere le gabbie in cui vengono rinchiuse le scrofe in gestazione, per capire che nemmeno una pianta sarebbe giusto imprigionare così. Le sbarre dopo poco si consumano, perché l’animale le morde disperatamente coi denti. Non c’è spazio per muoversi, nemmeno per girarsi. Praticamente una gabbia di contenzione. Dal 1° gennaio del 2013 entrerà in vigore la nuova normativa europea che vieta di allevare le scrofe gravide in queste gabbie, ma l’Italia, al solito e questa volta in numerosa compagnia - secondo gli ultimi dati: Portogallo, Francia, Austria, Finlandia, Grecia, Slovenia, Polonia, Cipro - non sarà affatto pronta a mettersi in regola. Così come ancora non ha fatto granché per rispettare il divieto di allevare le galline in batteria, nonostante la legislazione europea in merito risalga addirittura al 2001. Non sembra vicino il giorno in cui, come auspicava, anzi fiduciosamente prevedeva, Leonardo da Vinci, l’uccisione di un animale verrà considerata alla stessa stregua dell’uccisione di un uomo. Ma è per lo meno schizofrenico che la commozione per i cuccioli (in fotografia), l’esecrazione per le crudeltà sugli animali (generale), il mercato sempre più florido di prodotti per le nostre amate bestioline (da compagnia) non si riflettano nemmeno vagamente in un atteggiamento pietoso nei confronti di esseri ugualmente senzienti, ma che vivono del tutto casualmente la dannazione di essere buoni da mangiare. Così, l’organizzazione Compassion in world farming, che da quarant’anni cerca di promuovere metodi di allevamento rispettosi del benessere degli allevati, ha pensato che, invece di fare appello al senso di equità o di pietà, forse avrebbe potuto essere più efficace mirare dritto al cuore degli individui e delle istituzioni: il portafogli. Forse qualcuno capirà - si è detta Annamaria Pisapia che dirige Compassion Italia - che non è una buona carta di presentazione nei confronti dei turisti il disattendere bellamente norme europee che abbiano lo scopo di render meno insopportabile la vita delle scrofe, anche perché poi la carne di chi viene allevato così e dei suoi piccoli, vedi mai che di tanta sofferenza porti le tracce? L’idea è quindi stata di interessare il ministero del Turismo. E alcuni rappresentanti di Compassion si sono recati alla sede londinese dell’Enit, agenzia nazionale del turismo, per consegnare una cartolina gigante indirizzata a Pietro Gnudi. Sul retro, un memo per il ministro: l’Italia rischia di danneggiare la propria reputazione agli occhi dei turisti britannici se, come appare certo, il 1° gennaio non sarà pronta a togliere le povere scrofe dalle gabbie. “Italy – wish you weren’t here”, è la provocatoria scritta tra l’immagine del Colosseo, quella dei prosciutti e quella della scrofa sdraiata immobile in una gabbia ridicolmente angusta e simile a strumento di tortura. Una cartolina al ministro. Non un ordigno esplosivo. Portata da persone pacifiche che, in termini molto educati, ricordano gli impegni che l’Italia si è assunta. Ma gli addetti dell’ufficio dell’Enit questa cartolina si sono rifiutati di accettarla: non siamo “autorizzati” a ricevere nulla, hanno detto, preoccupati e ligi al regolamento. Dobbiamo capirli. Ci sono casi in cui i regolamenti vengono invocati con ardore, casi nei quali il buonsenso deve cedere il passo alle norme scritte, perché siamo in presenza di fatti delicatissimi: come può, l’agenzia del turismo, accettare di trasmettere al ministro un legato pericoloso come una cartolina?




(articolo tratto dal sito www.glialtrionline.it)
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