Susanna SchimpernaDavvero vogliamo una sessualità libera? Davvero non abbiamo pregiudizi? E allora cominciamo ad ammettere che i corpi degli handicappati, dei vecchi e dei diversi possono essere erotici. E che i pazzi debbano godere

I normali hanno tanti modi di tenere a bada l'angoscia. La soffocano nella routine quotidiana degli azioni ripetitive, l'addolciscono con i divertimenti, la distraggono con i rapporti sociali, la sublimano attraverso l'ambizione. Tutte vie di fuga impercorribili ai non-normali: i vecchi, gli handicappati, i pazzi. E allora, prego, che si lasci loro almeno la possibilità d'amore. No? E perché no? Perché l'amore dei vecchi e tra vecchi, ai “normali” fa ribrezzo. Persino i libertari e intelligenti lettori della rivista Blue, qualche anno fa si sentirono urtati quando il loro giornale pubblicò la foto di un nudo di donna vecchia, dipinto in modo molto realistico. Arrivarono lettere di protesta: perché questa volgarità? I giornalisti, invece, certo non si scandalizzano. Ironizzano. Il buon gusto e la sensibilità d'animo li portano a partorire titoli siffatti: "Casa a luci rosse solo per nonnetti"; "Un Eden da pensione minima"; "Piacenti signore di mezz'età per attempati pensionati ancora in cerca di forti emozioni"; "Una pastarella per fare quel che si può (non molto, vista l'età)"; "E a Marghera le vedove allegre facevano i sexy show per sessantenni". Poche pagine più avanti, negli stessi quotidiani, trionfano tipi come Alain Delon e Sean Connery, definiti bellissimi, affascinanti, appetibili da qualunque donna. La loro età varia dai sessanta agli ottant’anni, ma non importa. In quanto belli, ricchi e famosi, sono sottratti allo squallore della cronaca. Possono innamorarsi e far innamorare. Possono avere rapporti sessuali. Possono, anzi debbono continuare a vivere. E ci sono gli handicappati. Per i quali viene comodo usare l'orrida e impropria perifrasi "portatori di handicap". E' un modo per stabilire una sorta di doppio cordone di sicurezza (cordone sanitario) tra normalità e non-normalità: l'handicap è qualcosa di talmente estraneo che su di lui vengono fatti ricadere, interi, lo schifo, la sventura e la deprecazione, e si chiede a chi questo handicap "ce l'ha" di fare altrettanto, di intrappolare tutto il suo dolore e il suo disagio e la sua diversità in tale astrazione misteriosa e colpevole, la malattia. Perché così è possibile odiare senza sentirsi cattivi. Odieremo l'handicap, la malattia, non la persona che ne è "portatrice"; a patto che... anche questa persona accetti di odiare il suo handicap quanto facciamo noi, distaccandosene. Per essere riammessi nel consorzio della vincente normalità, insomma, bisogna oggettivare e rifiutare una parte di sé. Operazione difficile, dai risultati incerti e gli effetti collaterali devastanti: ma l'importante è che la finzione sia credibile, i normali non vogliono altro. Se la finzione è abbastanza OK, per i portatori di handicap si possono schiudere le porte del paradiso: forse troveranno qualche normale che "passerà sopra" alla loro malattia, li tratterà alla pari, farà addirittura l'amore con loro. Hai visto, quello ha sposato una paraplegica... sì, ma lei è talmente bella, in gamba; si comporta come se fosse perfettamente sana, dopo un po' che le stai vicino ti dimentichi che ha un handicap... sì, è vero, sembra proprio come noi... E se lei non sembra come noi? Ah, allora è tutto un altro discorso. Trovarla degna d'amore (amore, e non pietà), trovarla sessualmente attraente, non può essere che segno certo di depravazione e follìa. "La prova decisiva di qualsiasi teoria è la seguente: è possibile ricavarne denaro?". Il celebre assioma di Paul Davies si dimostra valido ancora una volta. Se le persone vecchie o handicappate fossero sessualmente attraenti (o più precisamente, se noi non avessimo dei pregiudizi così profondi contro di loro) qualcuno userebbe i loro corpi per vendere più copie di una rivista, rendere più allettante la pubblicità di un prodotto, girare film hard. Pensiamo invece a cosa accadrebbe a chi lo facesse: si ribellerebbero vecchi e handicappati per primi, e via via da destra e da sinistra, da bigotti e laici, un solo grido, magari su tonalità diverse: Vergogna! Vergognatevi, a sfruttare le disgrazie altrui! Come volevasi dimostrare, appunto: vecchiaia e handicap non possono che provocare repulsione, e guai a chi non la pensi così. Non molto diversa la situazione dei pazzi. Che, anche loro, non sono considerati interi, persone: hanno una malattia. Laing scrisse a soli 28 anni quello splendido libro che è L'Io diviso per dimostrare che è possibilissimo capire gli psicotici, e per contestare un luogo comune non solo e non tanto linguistico, ma diagnostico: "Il paziente non ha la schizofrenia", affermò coraggiosamente. "E' schizofrenico. Bisogna conoscerlo senza distruggerlo". E senza nemmeno pretendere di distruggere la sua schizofrenia, si potrebbe aggiungere. Ma qual è lo psichiatra che acconsentirebbe a che i suoi pazienti psicotici avessero rapporti sessuali? O, per spostarci su un terreno più radicale, chi mai se la sentirebbe di mettere da parte i propri pregiudizi, le proprie paure, la deformante preparazione accademica per vedere nella sessualità un modo, il più importante, il più coinvolgente, forse l'unico praticabile, attraverso cui una persona mentalmente ed emotivamente in sofferenza potrebbe superare l'angoscia, l'impotenza, la mancanza assoluta di ogni significato e prospettiva di vita? Il dolore che uccide se stessi e la distruttività che porta ad uccidere gli altri sono sicuramente, in buona parte, il risultato di una non-vita, dell'impossibilità di realizzare le proprie potenzialità emotive, fisiche, mentali. Per ovvie ragioni chi è psicotico (o anche solo nevrotico, e sia chiaro che questa distinzione è una forzatura che serve per semplificare il discorso) non vive come vorrebbe. Spesso, non vive affatto, e sopravvive male. La sessualità potrebbe essere una miracolosa terapia, ridare energia e scopo, ricostituire al posto della paralizzante impotenza un nucleo di forza dinamica intorno a cui la personalità disgregata potrebbe ricompattarsi, e crescere, espandersi, rafforzarsi. L'unica spiegazione che gli psichiatri danno delle proibizioni e delle repressioni riguardanti ogni cosa che abbia a che fare con la sessualità dei loro pazienti, suona sgradevole come la carità pelosa: un individuo squilibrato non può affrontare un rapporto così sconvolgente come quello sessuale, dicono, ne uscirebbe a pezzi. Spiegazione molto poco scientifica. Che il sesso e l'amore possano far male, lo sanno molto bene i normali (che cadono in depressione, si ammazzano o ammazzano, ingaggiano battaglie legali che mirano all'umiliazione o addirittura all'annientamento del partner prima amato e poi odiato, e tante altre cose ancora), non lo sanno affatto i non-normali, a cui sesso e amore non vengono "concessi". E poi, è giusto eliminare dalla vita ciò che "potrebbe" far male? E ancora: perché non supporre che invece sesso e amore darebbero risultati positivi? (La risposta è ovvia ma non per questo necessariamente sbagliata: perché la nostra è una cultura mortificante e mortifera). E infine: non è stato detto molto tempo fa da voce insospettabilmente poco libertaria che AMOR OMNIA VINCIT?




(articolo tratto dal settimanale ‘Gli Altri’)
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