Vittorio CraxiHa vinto, com’era largamente prevedibile, il Partito degli islamici H’nada. Ma ha vinto soprattutto un popolo, quello tunisino, che ha dato una prova democratica straordinaria, un segnale di maturità per molti, ma non per tutti inatteso. La verità è che il piccolo Paese maghrebino si è risvegliato da un torpore politico, da una passiva accettazione della ‘democrazia guidata’ degli anni di regime, anche se non è mai apparso, neanche all’epoca di Bourguiba e Ben Ali, privo di quelle risorse aggiuntive insite nella sua cultura antica e nella straordinaria laboriosità che continuano a fare della Tunisia una delle nazioni più dinamiche del mondo arabo, caratteristiche che l’avvenire non farà che confermare. Ci si interroga, naturalmente, sulla scelta fatta dalla maggioranza relativa della popolazione verso il movimento H’nada, la cui forza risiede nella conservazione dei dettami religiosi. La verità è che, al di là delle divisioni tecniche e politiche del fronte laico che gli si opponeva (ma neanche troppo), la scelta tunisina è stata nel segno di un rinnovamento nella continuità, nella rassicurazione e nella certezza che l’impianto compassionevole del welfare garantito dai Partiti unici che hanno guidato la nazione per diversi lustri non sarebbe stato intaccato, che l’unità identitaria della nazione avrebbe saputo interpretare in forme innovative il rinascimento islamico incarnato  dall’affine popolo turco. I nuovi capi hanno “facce serene e rassicuranti”, il loro linguaggio è sempre stato attento a vellicare gli istinti antitotalitari e non oscurantisti, fondando la ragione della rinascita tunisina attraverso le radici profonde di un Islam che si fa Stato senza prevaricare le conquiste sociali ed economiche. Il voto agli islamici tunisini è dunque in sintonia con gli orientamenti politici del mondo globalizzato: è un voto intriso di populismo e demagogia, la conferma della debolezza delle ideologie d’importazione come quella socialdemocratica o post comunista ‘democraticista’, peraltro interpretate, in qualche caso, da una vecchia opposizione di ‘sua maestà’. Molti si sentono scippati del significato della ‘Rivoluzione dei gelsomini’, interpretando il voto come un arretramento dei presupposti e dei fini del cambiamento tunisino. Vero si è che lo sbocco di ogni rivoluzione priva di un ‘ceto rivoluzionario’ è sempre agli antipodi dei suoi primordi. Una rivoluzione nata a sinistra non poteva non finire per ingrossare il populismo e la destra religiosa, che erroneamente è sempre stata giudicata estranea o assente dalla rivoluzione. Un’osservazione, quest’ultima, completamente errata, perché il vero e più ostinato oppositore, interno ed esterno, alle autocrazie del Nord Africa è sempre stato il movimento islamico politico ed economico, che mal digeriva il non assoggettarsi dei ‘raìs’ del Maghreb. Sono state le televisioni satellitari, la gioventù colta, moderna, urbanizzata e islamizzata a piegare il regime, ampi settori della sicurezza interna in collegamento con forze della reazione occidentali, stanche di sostenere regimi logorati e corrotti. Questa ‘doppia tenaglia’ ha accelerato la fine, ma certamente non ne ha previsto gli esiti e gli sbocchi futuri. Io credo non si debba avere “paura dei pericoli”: nasce sulla sponda mediterranea una ‘Democrazia islamica’ e, vivendo in un Paese dove si invoca la rinascita di una ‘Democrazia Cristiana’, da ciò non possiamo non rilevare curiose analogie e trarne ovvie conseguenze. Ai tunisini sta il compito di riscrivere i princìpi e i valori della nuova Carta Costituente. Tenere insieme le conquiste laiche e principi religiosi non sarà semplice, ma il compromesso politico e sociale rimane il solo modo per mantenere in vita popoli e comunità. E al popolo tunisino non manca quello spirito nazionale perché ciò possa essere fatto. Saranno piuttosto le ricette economiche e il rilancio dello sviluppo e della crescita il vero ‘banco di prova’ della giovane democrazia tunisina, il più autentico ‘terreno’ della sfida che sposterà inevitabilmente verso l’est islamico e l’oriente cinese questi nostri vicini di casa. Salvo poi rendersi conto che l’esaltazione delle ‘Primavere del Mediterraneo’ non sia stato, da parte nostra, soltanto un esercizio retorico, ma un programma di rilancio e di sviluppo comune. E’ per questo motivo che la vicenda tunisina e maghrebina ci riguarda. Eccome.




Responsabile politica estera del Partito socialista italiano
(articolo tratto dal quotidiano 'il Riformista' del 27 ottobre 2011)
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