Antonio Di GiovanniGentilissimo presidente, con fervida immaginazione ho pensato di trovarmi al suo cospetto, seduto in un bar davanti a un caffè per chiacchierare un po’ con Lei, come di solito faccio con gli amici. Finora, presidente, ho sempre taciuto, continuando caparbiamente a esercitare la politica sul territorio in cui vivo: ho taciuto le delusioni, le perplessità. Ora, però, caro presidente, non ho più voglia di tacere: oggi, prendo il coraggio a quattro mani e parlo, pur sapendo che probabilmente censureranno questo mio articolo e, quanto scrivo, potrà essere usato contro di me. Ma ho sempre pensato che per fare la “vera politica” ci voglia coraggio e questo non mi manca di sicuro. Ho sempre creduto in quella politica che doveva far da tramite tra cittadino e istituzioni, mentre oggi, Lei ha creato un modello che ben si distanzia dall’elettore, anzi lo cerca e lo adula solo in prossimità delle campagne elettorali. Non è un luogo comune, presidente, affermare che lo Stato si sia mangiato tutti i nostri soldi, che il suo Governo, così come quello di altri, non ha mai pensato al bene del Paese ma solo a quello degli interessi personali, convogliando le entrate di noi contribuenti nel circuito vergognoso delle banche, nelle grandi lobbies economiche, all’interno di un calcio/mercato corrotto e dentro uno ‘show-business’ fatto di sesso, corruzione e degrado. Avete trasformato l’informazione in una sorta di “giornalismo appiattito”, costringendo professionisti di enorme cultura e capacità a una visibile dormienza. Ho taciuto finora, onorevole Berlusconi, su certi suoi deputati che oggi siedono sullo scranno del parlamento solo ‘per grazia ricevuta’, attraverso il meccanismo delle liste bloccate. E non svelerò di più, caro presidente, per il rispetto di quei pochi politici onesti della sua componente conosciuti personalmente che lavorano per migliorare davvero le cose. Politici onesti, ridotti a goccioline minute in un mare inquinato dall’indecenza e dalla sporcizia del malaffare. In questo Paese c’è gente che lavora a tempo pieno, caro presidente, non a tempo perso, in maniera dignitosa e rispettosa, conscia del dovere e del rispetto che ripone verso la propria funzione, qualsiasi essa sia. Faccio politica per la grande passione che ho verso di essa, ogni giorno ascolto i ragazzi del mio quartiere cercando di dar loro consigli e di aiutarli a vedere qualcosa di positivo nel loro futuro. Percepisco le loro difficoltà, ascolto le loro paure e le loro preoccupazioni: il giovane che non trova occupazione e l’anziano che non arriva a fine mese, l’amico che ha perso il lavoro e non riesce a ricollocarsi o la mamma separata che è costretta a fare due lavori per mantenere i suoi piccoli e via dicendo. Non è demagogia, presidente, non sto facendo un comizio elettorale, ma solo due chiacchiere al bar, io e Lei, come due vecchi amici. Per usare una espressione riassuntiva, penso a una “nuova visione del futuro”, basata su un processo di collaborazione, interdipendenza e interconnessione che rappresenti una sorta di neo-popolarismo, dove il termine libertà si coniughi con responsabilità e partecipazione, anziché con individualismi, egoismi e personalismi. Ci vuole un nuovo atteggiamento mentale e politico che superi la vecchia categoria dello scontro tra destra e sinistra e che, soprattutto, abbandoni il  modello autoritario, elitario e centralizzato per dar vita a quello partecipativo, collaborativo e creativo che segnerà  la cosiddetta “Nuova Repubblica”. Invece, ho l’impressione, presidente, che i recenti provvedimenti legislativi delle cosiddette “manovre”, nazionali ed europee, vadano in una direzione opposta. Le cito, per esempio, la famosa crescita che tutti invocano come ‘panacea’ di tutti i mali, ma che per come è intesa rappresenta il preciso contrario della nostra posizione. Io sono fautore, Invece, di una recente corrente di pensiero che parla dell’esigenza di sostituire  il concetto di  “crescita”  con quello di “qualità di vita” la quale, sia chiaro, non corrisponde a  una “non-crescita”, bensì a una ripresa ‘diversa’, da misurare con indicatori distinti, ispirati a nuovi stili di vita, al rispetto della natura, a una più equa redistribuzione del reddito, al consumo di energie alternative, al mutamento dei consumi. Invece, c’è stato un aggravamento del carico fiscale su coloro che già pagano le tasse e il rifinanziamento del mondo bancario, che è andato in crisi per aver investito i risparmi dei cittadini in operazioni speculative, anziché in finanziamenti alla produzione di beni e servizi. Per non parlare, presidente, dell’obbligo del pareggio di bilancio, che ci farà imboccare una strada senza ritorno. Il “pareggio di bilancio” non è una categoria morale: se il debito aumenta per spese inutili e futili è un male, ma se cresce per il mutuo della casa o per l’istruzione dei figli in un certo senso è un bene, poiché alimenta nuovi consumi. Così è anche per lo Stato. Mi creda: sono moltissime, in Italia, le famiglie che hanno bisogno di aiuto come il Tarantini che Lei stesso dice di aver aiutato perché la sua famiglia versava in una difficoltà economica non indifferente. Cosa vuol fare presidente? Ha intenzione di aiutare tutte le famiglie italiane una per una, mandando loro dei soldi o vuole impegnarsi a fare delle leggi che, finalmente, siano a sostegno della ‘pietra angolare’ della nostra società e dei ceti medio bassi? Il ruolo dello Stato nel campo economico-finanziario deve tornare a essere insostituibile per uno sviluppo in linea con i principi della nostra Costituzione. Non si tratta di tornare a un deteriore “statalismo”, ma di recuperare al pubblico una partecipazione a funzioni che condizionano la vita dei cittadini. Altrimenti, saremo condannati a essere governati da oligarchie padronali, dalla grande finanza, da agenzie di rating, o da ‘criminali seriali’ come gli speculatori finanziari, che puntano a distruggere le democrazie e ad appropriarsi di beni e servizi, pubblici e privati. Dunque, per realizzare tutto questo sono indispensabili quegli investimenti, quelle infrastrutture, quelle innovazioni tecnologiche e quelle attività produttive che il libero mercato non può o non riesce a realizzare. Dobbiamo riappropriarci di quella ‘sovranità’ che abbiamo ceduto in questi ultimi anni e che passa attraverso il recupero di uno Stato che non sia semplice testimone delle derive economiche e finanziarie, ma che faccia la sua parte  sul piano degli interventi e dei controlli per la difesa della dignità e del valore complessivo della persona, evitando il diffondersi delle truffe: la politica, caro presidente, deve dettare le regole, non rispettare quelle scritte nelle lettere dei vari Trichet, Draghi e compagnia. Si potrebbe proporre all’Unione europea di fare come Roosevelt, che per superare la grande depressione degli Stati Uniti del 1929 lanciò un piano d’interventi pubblici senza precedenti, con investimenti che diedero lavoro a 12 milioni di americani. Contemporaneamente, firmò la legge Glass-Steagall  e dettò quelle regole che disposero la separazione tra banche d’affari e banche commerciali per mettere al sicuro i risparmi dei cittadini. Si potrebbe cominciare a usare il codice fiscale collegandolo a un’unica centrale del ministero delle Finanze, al fine di documentare ogni spesa fatta, tracciando sia colui che spende, sia colui che incassa, per evitare dichiarazioni false da parte dei commercianti e dei  professionisti. Ma lei cosa ne sa se resta nel suo mondo ‘dorato’, senza mai scendere tra di noi cittadini? Vorrei vederla, signor presidente del Consiglio, arrivare al 20 del mese come tanti che conosco, costretti a decidere tra una fettina di carne o una  medicina che la ‘mutua’ non passa. Vorrei vederla, almeno un giorno, nei panni di quei padri di famiglia che si alzano la mattina presto quando è ancora buio e si spaccano la schiena per non riuscire a raggiungere nemmeno un decimo di quello che percepisce Lei e il suo ‘codazzo’ di politici. Vede, caro presidente, i giovani hanno perso fiducia, non credono più a niente, sono spesso indeboliti dalla droga, dall’alcool, facili al disadattamento, alla perdita di valori e, soprattutto, attratti dal guadagno ‘facile’. Ecco, caro presidente del Consiglio, questa è la vostra colpa: imporre un modello politico che Lei stesso, insieme ai suoi ‘servi sciocchi’, ci avete fornito. Eravate voi la novità di questo Paese. Eravate voi che dovevate unirvi per fare programmi seri, per aiutare la nostra comunità a crescere. Invece, l’avete fatta scendere sempre più in basso. Siete voi che avete tolto ogni speranza al futuro, che date quotidianamente esempi sbagliati, che insegnate a fare ‘festini’ a base di droga e ammucchiate di sesso in ville extra-lusso. Abbiamo scuole che cadono a pezzi, aziende sanitarie e ospedali al collasso, università che non hanno più soldi per la ricerca, disoccupati in continuo aumento, aziende che chiudono, persone un tempo benestanti che oggi stanno varcando la soglia della povertà andando a mangiare alla Caritas. Mi dispiace, signor presidente, ma la politica italiana ha fallito in questi ultimi decenni, risultando la maggior responsabile dei danni perpetrati nel nostro Paese. Non ci sono Governi che si salvano, da venti anni a questa parte. Ma questa non è una condanna al suo Partito, ma a tutti i Partiti che fino a oggi sono scesi in campo. Però Lei sì, caro presidente: Lei fa sicuramente parte di quella schiera di persone responsabili dello stato di disperazione del nostro Paese, di una crisi di valori che è ancor più grave di quella economica, del degrado morale che sta dilagando, perchè ancora, nel 2011, chi ha il potere e i soldi vince, mentre il resto può morire. Nessuno spazio per i giovani che hanno idee nuove, nessuna possibilità di mettere in mostra un ‘talento vero’ o di poter partecipare alla costruzione progettuale della politica sulla base del merito piuttosto che sulle qualità ‘estetiche’. Ci sono tante persone che, come me, hanno idee per progetti dedicati ai giovani, al sociale, alla cultura, al giornalismo. Non si premiano più le idee, non si premia chi passa giornate a creare addirittura interi ‘circuiti’ innovativi che potrebbero migliorare il nostro Paese, che potrebbero dar voce alle persone, ai loro sogni, alle loro speranze. Il merito, presidente, io ho capito che in questo Paese non esiste più. E poco importa se, a 49 anni, credo ancora in questi ideali e in un futuro migliore. Ho sempre messo a disposizione il mio tempo per aiutare le persone e lottare per le giuste cause e ora, sì, sono avvilito, disgustato, in stato di rifiuto perenne, perché vedo trionfare sempre il malcostume, la furbizia o la “patonza”, se mi permette di usare un lessico ormai ‘di moda’, ultimamente. Provi solo per un attimo ad ascoltare la gente comune, provi per un giorno a fare la fila all’ ufficio postale o al pronto soccorso come un semplice cittadino, provi a far la spesa al mercato o a passare una giornata di lavoro da precario in un’azienda. E’ vergognoso ciò che ci state facendo. E Lei deve dirci anche il perché di tutto questo. Ciò che fino a oggi il suo esecutivo è riuscito a fare è dare la colpa ai Governi di sinistra, in un perenne gioco di rimbalzi di responsabilità. Ma siete tutti colpevoli di questo marciume, destra e sinistra: colpevoli perché non siete riusciti a cooperare, di giorno divisi a farvi battaglia, la sera uniti a far festa. Stiamo perdendo ogni ideale, le persone sono disperate, i meno buoni si perdono nella criminalità pur di sopravvivere, i più deboli subiscono gli stenti della povertà e finiscono nella marginalità e nell’abbandono. Poi ci sono quelli che lavorano a ‘testa bassa’, senza più sogni, ormai rassegnati al frenetico ingoio di questa società ‘immediatista’. Infine, ci sono quelli come me: i ‘sognatori’, i ‘creativi’, quelli che ancora credono nelle idee, nel potere dell’intelletto e nella giustizia e che non ce la fanno più a stare zitti di fronte agli ennesimi insulti da parte del suo Governo e dei suoi alleati. Abbiate una coscienza: fate un gesto che possa essere accolto e compreso come una risposta concreta.


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Francesca - Roma - Mail - lunedi 24 ottobre 2011 12.50
L'articolo tocca le corde profonde del senso di giustizia e di dignità che risiede in ognuno di noi; è molto commovente e credo che si faccia portavoce del pensiero della maggior parte degli italiani. Realisticamente, se veramente questa conversazione avesse luogo davanti a questo caffè, cosa pensa che il "nostro" le risponderebbe? O meglio, cosa vorrebbe sentirsi rispondere?


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