Ilaria CordìL’Italia è il Paese del bel vestire e delle grandi firme, da Valentino a Cavalli, da Gucci  ad Armani. Una moda elegante e sensuale, con una colossale vastità di modelli e colori differenti che, a noi donne, fanno sfavillare gli occhi ogni volta che vediamo sfilare modelle in passerella con addosso questi capi unici. Per non parlare delle famose marche come Chanel o Louis Vuitton, re e regine della moda francese che entrano sempre più nella nostra concezione di abbigliamento e di accessori.  “Una donna non è elegante se non ha almeno una Louis Vuitton”, così recitano i post delle ragazze sui social network: una frase agghiacciante, che fa venire i brividi, poiché una borsa del genere costa come minimo 500 euro. Ammetto che ho ceduto anche io alla bellezza di questa famigerata Louis Vuitton, ma per comprarla ho dovuto fare enormi sacrifici e rinunce. E tuttavia mi chiedo: “Per tutte coloro che, come me, amano la moda e il gusto del ben vestire, ma che purtroppo per mancanza di soldi non se lo possono permettere, cosa dovrebbero fare”? La risposta a questa domanda è che dal 20 novembre ha aperto a Milano, in Corso Vittorio Emanuele, il gruppo ‘Gap’, che ha già vestito milioni di persone in America, Canada, Gran Bretagna, Irlanda, Francia e Giappone e che oggi, insieme a ‘Banana Republic’, che aprirà il 2 dicembre sempre a Milano, è sbarcato in Italia per soddisfare le amanti del buon gusto a prezzi ‘low cost’ con capi facili da portare e che, finalmente, valorizzano le forme. Il punto di forza dei due brand low cost è un abbigliamento ‘basic’ in una fusione di sobrietà ed eleganza, ma al contempo un mix di casual e chic, uno stile adatto a tutti per ogni ora del giorno e per ogni occasione. All’interno dei 3 mila 400 metri quadrati che gli sono stati dedicati, il brand che giunge dall’altra parte dell’oceano espone tutte le sue linee con una entusiasmante innovazione:  il personal shopper, ovvero stilisti esperti che offrono una consulenza gratuita, persino su appuntamento se occupati in quel frangente. Dunque, la ricerca dell’abito perfetto per una cerimonia o l’abbinamento adatto per una serata romantica non saranno più un problema. Diciamo inoltre a quelle signore che non comprano niente se non è “di gran marca”, che all’interno del ‘gruppo Gap’ ritroviamo lo zampino dello stilista italiano Valentino, poiché in occasione dell’inaugurazione è stato siglato un accordo con la grande maison facendo nascere da questa collaborazione sette capi chic, subito venduti nella prima settimana d’apertura negli stand del negozio milanese. Le due ‘griffe’ mirano a portare all’interno della moda italiana quell’atmosfera che ci regala lo stile americano, conservando al suo interno la linea casual degli anni settanta, naturalmente ridisegnata. ‘The Gap’ nasce nel 1969 a San Francisco per opera di Doris Fisher insieme al marito Donald, i quali, all’unanimità, inventarono il nome e il marchio. Difatti, nella lingua inglese la parola ‘gap’ sta a significare ‘scarto’, o anche ‘differenza generazionale’. Oggi, l’azienda è diretta da Glenn Murphy, che ha risanato e fatto crescere il gruppo fino ad arrivare ai primi mesi del 2010, in cui vi è stato un aumento dei profitti del 40% rispetto all’anno precedente classificandosi seconda dopo il gruppo spagnolo ‘Inditex’, a cui appartiene la catena di negozi ‘Zara’. Questa è la conferma che ormai la tendenza dei consumatori, in tempi di crisi, è quella di risparmiare, pur concedendosi lo sfizio di vestirsi alla moda. Si può dunque affermare che il buon gusto nel vestire sia diventato solo una questione di prezzo? Oppure, è solamente una questione superficiale e illusoria, in cui si pensa che il prezzo fa il capo? Studi fatti di recente affermano, riportando i risultati dei test, che  se si pongono  due modelli identici in cui uno dei due ha un prezzo più elevato dell’altro, coloro che scelgono, decidono di acquistare quello che costa di più. Ciò in quanto, erroneamente, si collega il prezzo notevole a una migliore qualità, alle volte assolutamente apparente. Eppure, i vestiti sono disegnati per persone ‘standard’, che possono permetterseli. Ma è proprio la marca a complicare un po’ le cose: perché il lavoratore o l’impiegata che guadagna un medio stipendio non può permettersi, per esempio, un giubbotto invernale della ‘Moncler’, dovendosi così accontentare di un capo di basso prezzo e di poca qualità? È per questo motivo che ‘Gap’ e ‘Banana Republic’ vogliono soddisfare anche i bisogni dei lavoratori medi, anche e soprattutto uomini, poiché per questi ultimi di boutique se ne vedono di rado dato che, da sempre, coloro che dedicano più tempo allo shopping risultano essere le donne. Detto ciò, la moda odierna copre un vastissimo campo di interessi e motivazioni: principalmente, vuol far prevalere l’immagine corporea della persona. L’abito viene infatti inteso come espressione di una certa affermazione nella società, cercando conferme importanti dateci dai nostri simili e utilizzate come mezzo di comunicazione: una comunicazione dominata dal linguaggio del desiderio. Le persone favoriscono, con il loro ben vestire, il fare una buona impressione del proprio essere, sentendosi così più sicure di loro stesse, dandosi molto più valore del normale. Quindi, questi capi soddisfano bisogni assolutamente personali, poiché oggi non si compra un vestito per una necessità primaria, ma solo perché quel vestito appartiene a un piacere personale che potrebbe renderci felice e, soprattutto, più sicuri di noi stessi. Di conseguenza, il giudizio sull’utilità del capo diventa estremamente relativo, condizionato anche dalle numerose rivista di moda. Ci vuole, insomma, molto buon senso e un briciolo di intelligenza per adeguare, senza assurde pretese, il modo di vestire alla propria persona.  Ed è dal modo in cui ci si veste che appare la vera soggettività della persona, parafrasando il motto “dimmi come ti vesti e ti dirò chi sei”, in “dimmi come ti vesti e ti dirò chi pensi di essere”.


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